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La serie tv su Colin Kaepernick, il primo a inginocchiarsi per il Black Lives Matter
La nuova serie “Colin in bianco e nero”, uscita da poco su Netflix, racconta gli anni delle superiori di Colin Kaepernick, un ragazzino nero adottato da una coppia bianca negli anni '80, il cui sogno è essere un giocatore di football americano. Nella miniserie Kap, questo il suo soprannome, guarda e commenta gli episodi della propria vita che lo hanno reso l'uomo che è diventato. Sia chiaro che il ragazzo non è uno qualsiasi, si tratta di un atleta dall'innegabile talento, tanto che alle superiori era contemporaneamente titolare delle squadre di football, baseball e basket della sua scuola. Nel baseball era così promettente da ricevere decine di borse di studio dai college più prestigiosi per giocare nelle loro squadre. Per lui si prospettava una facile carriera milionaria come battitore.
Carriera snobbata, tra lo sgomento generale, per inseguire il sogno di giocare a football, sebbene su quel fronte le offerte tardassero ad arrivare. Perché Kap sia finito a giocare lo sport per il quale era apparentemente meno dotato lo si spiega soltanto considerando il bisogno profondo che quel ragazzino del Wisconsin sentiva già allora; fare la cosa che sentiva essere giusta, anche se era il solo a ritenerla tale. Proprio uno stadio di football sarà lo scenario di un'altra scelta di Kaepernick incomprensibile ai più: per la prima volta si inginocchierà durante l'esecuzione dell'inno americano.
Da atleta milionario ad attivista Black Lives Matter disoccupato
È il 1 settembre 2016, l'inno americano, the Star-Spangled Banner, risuona prima della partita, tutti i giocatori ascoltano in piedi, tutti tranne uno, è il quarterback dei San Francisco 49ers, che si mette accanto ai suoi compagni ma taking a knee, poggiando un ginocchio per terra. Un gesto che i soldati fanno per onorare i compagni caduti di fronte alle loro tombe, ma che in quel contesto sottolinea il rifiuto di onorare l'inno di una nazione che opprime i neri. Il quarterback si chiama Colin Kaepernick e in pochi giorni diventerà uno degli uomini più divisivi d'America. “Irrispettoso”, “anti americano”, “provocatore”, il gesto del 49ers non passa inosservato e viene stigmatizzato dai tifosi e dai media e dall'allora presidente Donald Trump.
Poco importa se molti anni prima la stessa forma di protesta non violenta era stata utilizzata anche da Martin Luther King. L'America profonda si sente oltraggiata da quel gesto. Nel 2017 Kaepernick perderà il suo contratto e nessuno vorrà più rappresentarlo. Ma take a knee ormai è diventato un gesto simbolo della lotta contro il razzismo e il fato vorrà che qualche anno più tardi quel gesto acquisti ancora più valore tanto da essere riprodotto nelle piazze di tutto il mondo. Il 25 maggio 2020 George Floyd, un uomo afroamericano di 47 anni viene fermato dalla polizia e poco dopo muore per asfissia sotto il peso del ginocchio del poliziotto Derek Chauvin. Da quel momento take a knee diventerà anche un modo per ricordarne la morte. Ma quello che con questa serie sembra dirci Kaepernick è che se credi profondamente in qualcosa non c'è prezzo troppo alto da pagare per essere coerenti. In altre parole, se sei convinto che il tuo Paese si basi su un sistema che sfrutta, disprezza e brutalizza i neri, è tuo compito dirlo a gran voce, costi quel che costi.
Come un ragazzino afroamericano diventa un attivista
Ma facciamo un passo indietro. Sebbene fosse cresciuto in un'amorevole famiglia bianca e benestante del Midwest, Colin era pur sempre nero e come tutti i giovani neri d'America aveva imparato a riconoscere la propria diversità nel comportamento degli altri. Nella serie il campione guarda se stesso ragazzino imparare come alcuni stili di acconciature non siano accettati dall'America bianca, anche il colore delle ragazze che desidera frequentare appare discutibile, perché uscire con una ragazza dalla pelle molto nera se ci sono delle adorabili ragazze bianche che muoiono per uscire con lui, una fidanzatina bianca non è forse più desiderabile di una dalla pelle troppo nera? Così sembrano pensare i suoi genitori.
In fondo lui ha una carnagione poco scura, Colin è mulatto, e grazie al suo talento è ben accetto nella società bianca, dovrebbe solo smussare gli angoli del suo carattere, lasciare perdere la cultura hip hop, rispondere col sorriso alle guardie giurate che lo tallonano negli hotel pensando che sia un ladro e conformarsi ai canoni di comportamento che i bianchi considerano accettabili. Uno sforzo che però Kaepernick non è intenzionato a fare.
Altro che Michael Jordan, i miti di Kaepernick sono altri
A Michael Jordan, l'atleta nero leggenda del basket, che non ha mai mostrato particolare interesse per le lotte per i diritti dei neri, il giovane Colin preferisce Allen Iverson. Un altro uomo controcorrente. Nel 1997 il cestista statunitense creò scandalo per essersi fatto le treccine. Proprio così, il fatto che uno sportivo di primo piano potesse promuovere una pettinatura profondamente legata alla cultura africana era considerato inaccettabile dall'America bianca che riteneva il movimento hip hop il frutto di una cultura delinquenziale. Nel corso degli anni Kaepernick trova dei punti di riferimento negli atleti che sono stati in grado di non rinunciare ai propri valori per essere accettati dai bianchi. Spesso questo ha significato rinunciare ad una carriera come per Romare Beardon, lanciatore afroamericano dell'Università di Boston negli anni '30. A Beardon fu offerta la possibilità di giocare nella lega professionistica con il Boston, ad una sola condizione: farsi passare per bianco.
Lo sportivo rifiutò l'offerta e col tempo divenne uno dei più influenti artisti afroamericani. La storia degli Stati Uniti è piena di campioni neri che hanno pagato il proprio impegno politico, basti pensare a Tommie Smith e John Carlos che alle Olimpiadi di Messico '68 alzarono il pugno chiuso in un guanto nero durante la premiazione dei 200 metri piani, mentre suonava l'inno statunitense. Per questo gesto ricevettero minacce di morte e per lungo tempo furono ostracizzati. Solo molti anni dopo i due atleti hanno cominciato a ricevere il riconoscimento che meritavano. Kaepernick ha pagato caro il prezzo del suo impegno e adesso che non gioca più si dedica all'attivismo. Esattamente come i suoi idoli da bambino, ha scoperto che non rinnegando se stesso si è trasformato in qualcosa di più grande.
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