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Perché ci servono più serie come Mare Fuori
In collaborazione con FeST
La serie Mare Fuori, che racconta le vicissitudini di un gruppo di ragazzi e ragazze detenute in un carcere minorile di Napoli, è stata la rivelazione di quest’estate. È sbarcata su Netflix a giugno, dopo aver ottenuto il primo posto nella classifica dei contenuti più visti di sempre su Rai Play. A settembre inoltrato figura ancora nella top 10 della piattaforma americana, e non è un caso. Il racconto sincero dei protagonisti è lo specchio di una generazione immobile, che cerca le proprie radici e prova a capire cosa vuole diventare: i giovani di oggi sono sospesi in un limbo, come in prigione.
La storia di Mare Fuori
In un istituto di pena nel capoluogo partenopeo si incrociano le vicende di ragazzi e ragazze finiti dietro le sbarre per omicidi e altri reati gravi. La posizione del carcere, a picco sul mare, spiana agli occhi dei giovani reclusi le immagini delle onde e l’orizzonte lungo che si perde tra le acque: un’essenza di libertà che si scontra con la loro condizione. Questa contrapposizione fa da sfondo alle storie dei protagonisti: situazioni complesse che trovano in un luogo difficile come il carcere una possibilità di riscatto. Infatti il personale dell’istituto e la direttrice Paola Vinci (interpretata da Carolina Crescentini) incarnano ruoli positivi, e ce la mettono tutta per dare ai giovani una seconda possibilità.
Al centro della serie ci sono le storie di Filippo Ferrari (interpretato da Nicolas Maupas) e Carmine Di Salvo (Massimiliano Caiazzo), due adolescenti uniti dalla stessa sorte, ma diversi in tutto il resto. Entrambi entrano in carcere per aver ucciso: Filippo proviene da una ricca famiglia di Milano e sogna di fare il pianista, mentre Carmine, di origini camorriste, vorrebbe abbandonare la strada della malavita per dedicarsi a una carriera da parrucchiere. Dentro al carcere dovranno abbandonare – almeno momentaneamente – i propri progetti. Si troveranno invece a fare i conti con Ciro Ricci (Massimo Giorgio), boss emergente incarcerato assieme a loro.
Un ritratto intimo delle nuove generazioni
Come ha scritto Beatrice Dondi sull’Espresso, Mare Fuori è una serie che parla di giovani alle prese con le difficoltà della vita, non di criminali: di puntata in puntata emerge l’adolescenza, «quell’età estrema in cui il futuro è il qui e adesso, in cui l’amore è per sempre, come l’odio, come il dolore che non passa se non trascinando con sé tutto quello che gira intorno». Non lasciatevi ingannare dalla location, Mare Fuori è il ritratto di una generazione in sospeso. Racconta storie di giovani alle prese con il proprio passato, in cerca di un futuro migliore. Giovani che provano a capire le cause dei propri errori, spesso nascoste in una scia di decisioni sbagliate. Giovani pronti a ripartire, ma non più soli come prima: questa volta c’è la direttrice Paola Vinci e il resto degli addetti pronti a fare il possibile per loro.
Solo raramente la fiction italiana è uscita dal suo perimetro di azione, il nazionalpopolare. Mare Fuori è un successo proprio per questo, tradisce i preconcetti e ci regala un racconto sincero. Un racconto generazionale, ma anche di una realtà, quella delle carceri minorili, che merita di essere raccontata. Una realtà invisibile i cui numeri risultano in calo da vent’anni: a gennaio 2022 ne risultavano 316, rispetto ai 375 del 2020. Come spiega l’associazione Antigone, «in carcere si va poco e spesso per periodi brevi», ma «proprio per questo, essendo contenitori dei casi più difficili, le carceri minorili hanno bisogno della massima attenzione».
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