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L'Italia è il primo paese al mondo in cui gli under 15 sono meno degli over 65
L’Italia è incastrata in una morsa di bassa natalità dalla quale – almeno per ora – i governi hanno fatto ben poco per uscire. Secondo il professor Alessandro Rosina, ordinario di Demografia all’Università Cattolica di Milano e autore del libro “Crisi demografica. Politiche per un paese che ha smesso di crescere”, «il nostro paese è stato il primo al mondo in cui gli under 15 sono diventati di meno degli over 65». Intervistato da Rainews, Rosina ha sottolineato come la denatalità tenda «ad autoalimentarsi innescando un processo di avvitamento continuo verso il basso: le poche nascite passate riducono la popolazione oggi, nell’età in cui si forma una propria famiglia, con conseguente riduzione delle nascite future». Un costante processo di causa ed effetto, una catena che potrebbe però essere spezzata con investimenti a lungo termine.
Gli effetti della scarsa natalità: cosa è il 'degiovanimento' della popolazione
Rosina sottolinea che «la denatalità va progressivamente ad erodere la componente attiva che nel Paese produce ricchezza e che consente di finanziare e far funzionare il sistema di welfare pubblico». Questa erosione significa che servono sempre più risorse per gli anziani, risorse che automaticamente incidono, riducendole, sulle misure economiche destinate ai giovani. «La politica italiana, più che negli altri Paesi con cui ci confrontiamo, ha uno sguardo corto, che fatica ad andare oltre il consenso da ottenere nelle prossime elezioni», spiega il demografo. Risulta dimostrato, infatti, che le «misure che rafforzano l’autonomia e l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro hanno ricadute di breve periodo sull’occupazione dei giovani oltre che favorire la formazione di nuovi nuclei familiari e quindi la natalità, che a sua volta riduce gli squilibri futuri». Bisognerebbe quindi, suggerisce Rosina, riattivare politiche che favoriscano la conciliazione di lavoro e famiglia: asili nido, l’assegno unico (appena introdotto dal governo), misure per l’occupazione delle donne con figli.
Tra gli effetti del calo della natalità c’è il “degiovanimento”, neologismo che Rosina ha ideato per definire la «riduzione strutturale della presenza quantitativa di giovani nella popolazione e nella società». Secondo il professore la riduzione di popolazione giovane si associa anche a un generale disinvestimento nei giovani: meno spazi, strumenti e opportunità, condizioni che «impoveriscono i percorsi di vita dei giovani e indeboliscono il loro ruolo nei processi di cambiamento e produzione di benessere».
La popolazione italiana attraverso i numeri Istat
Quanto affermato da Rosina trova conferma nei numeri diffusi dall’Istat a dicembre, che certificano una recessione demografica già in atto in Italia, accentuata dalla pandemia. Nel "Censimento della popolazione e dinamica demografica – anno 2020" si legge che in Italia ci sono 59.236.213 residenti, in calo dello 0,7% rispetto al 2019 (-405.275 individui) In particolare, nel 2020 si è registrato un nuovo record negativo di nascite. In pieno boom economico, in Italia ogni donna partoriva in media 2,5 figli. Ora siamo a 1,3. E stupisce che – contrariamente a una certa retorica – il calo più cospicuo della popolazione si registri proprio al Sud. Probabilmente qui vale il discorso fatto dal professore Rosina: la penuria di welfare destinato alle famiglie (mancanza di asili nido, complicata gestione di lavoro e famiglia, basso tasso di occupazione) incide in maniera determinante sulla volontà di mettere al mondo figli.
La popolazione mondiale non crescerà per sempre
D’altronde la scarsa natalità è un problema globale, che ora coinvolge soprattutto i Paesi iper industrializzati, ma che in futuro potrebbe non escludere nessuno. Sia da esempio il caso della Cina: fino a qualche tempo fa era un gigante dalla inarrestabile crescita demografica, tanto da istituire per circa trent’anni severe politiche di controllo delle nascite. Nel 2016 il Governo – preoccupato dal progressivo invecchiamento della popolazione – ha eliminato la politica del figlio unico, sostituendola con un limite di due figli. Nel frattempo, però, l’alto costo della vita aveva ormai dissuaso le coppie. Ora in Cina si registra un tasso di 7,52 nascite per 1000 persone, il più basso dal 1949.
E se è vero che la popolazione mondiale è in aumento, è vero anche che la crescita che si registra non è di tipo esponenziale ed è – secondo l’Istituto di ricerca IPSOS – destinata a frenare e poi a invertire la rotta. Secondo l’IPSOS già fra tre decenni la popolazione comincerà a diminuire, e in meno di un secolo la popolazione mondiale perderà l’equivalente di tre Paesi delle dimensioni degli Stati Uniti. Succederà per tre fattori chiave: l’urbanizzazione, l’invecchiamento e il tasso di natalità (sul quale ha avuto un impatto drammatico anche il Covid-19).
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