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Salari da fame: storie di giovani precari italiani
Il lavoro c’è, “i giovani però preferiscono il reddito di cittadinanza”. Negli ultimi giorni ha tenuto banco la polemica che ha coinvolto industriali, istituzioni, sindacati e giovani precari. Da un lato chi ritiene il reddito di cittadinanza uno strumento che rende impossibile trovare lavoratori stagionali, dall’altro chi sottolinea che quei lavori (e anche lavori ben più qualificati) sono sottopagati oltre ogni ragionevole limite. Tra loro sono moltissimi i laureati che emigrano per cercare di far fruttare le proprie competenze ed evitare il destino dei giovani precari. Secondo il Referto della Corte dei Conti i laureati che lasciano il paese sono aumentati, in otto anni, del 41,8%. Un dato determinato anche dal fatto che qui la laurea, a differenza degli altri paesi Ocse, non offre maggiori possibilità di impiego rispetto a chi ha un livello di istruzione inferiore. E lo certificano anche alcune tra le storie che la redazione di VD ha raccolto.
Arianna ha trent’anni: «Mi sono laureata a 24 anni in filosofia, completando l’intero ciclo di studi. Ho cominciato a cercare lavoro a scuola, solita trafila di concorsi. Nel frattempo dovevo pur mantermi. Così ho lavorato in una pizzeria per un anno e mezzo: otto o nove ore al giorno, per 850 € al mese. Sul contratto in realtà era indicata un’altra cosa, lavoravo molto più a lungo di quanto indicato. Poi ho fatto la barista, la faccio ancora, sono ormai cinque anni».
«Guadagno 25 € al giorno, circa 3 € all’ora per otto ore di lavoro. In nero. I proprietari non hanno mai voluto contrattualizzarmi. Se glielo chiedessi mi indicherebbero una fantomatica fila che si creerebbe fuori al bar, di persone pronte a prendere il mio posto. In tutto questo tempo non ho mai smesso di studiare. Con il tempo ho capito che forse l’insegnante non è più un lavoro che mi piacerebbe fare. Ora ho preso un attestato di abilitazione e vorrei indirizzarmi verso la scrittura, mi piacerebbe diventare copywriter».
Precariato e salari da fame
Part-time involontario e salario da fame: nel recente studio “Il lavoro tra forte precarietà, contratti brevi e bassi salari”, condotto dalla Fondazione Di Vittorio, si legge: «È molto plausibile che la platea complessiva di 8,6 milioni di persone dell’area del disagio occupazionale e salariale nel 2020 sia oggi aumentata a causa dell’incremento degli occupati a termine e del part-time». Di questa enorme platea si stima che 4,7 milioni siano occupati tra dipendenti a tempo determinato e part-time involontari. E il lavoro precario è in aumento: gli ultimi dati disponibili certificano che i lavoratori dipendenti a tempo determinato sono aumentati del 5,4%, passando dai 2,9 milioni di febbraio 2020 a 3 milioni e 67 mila di ottobre 2021, un numero maggiore di quello pre-pandemico. In particolare i contratti con durata tra 1 e 3 giorni sono cresciuti da 265 mila a 433 mila (+63,4%) nello stesso periodo. Cala anche il salario medio: dai dati INPS relativi ai dipendenti del settore privato, esclusi agricoli e domestici, risulta una diminuzione del salario medio lordo annuo tra il 2019 e il 2020 del -5,9%, da 21.945 a 20.658 euro. Quello dei giovani under 35, poi, si è ridotto del 6,5%, «una diminuzione in linea con quella osservata nelle altre classi d’età, e tuttavia particolarmente grave perché incide su un livello salariale estremamente basso», specifica la fondazione Di Vittorio. In Italia il salario medio per gli under 35 ammonta a 13.572 euro.
Simone, 22 anni: «È iniziato tutto l’anno scorso, a marzo. All’epoca facevo l’università, ma seguire a distanza si è rivelato un disastro, senza la possibilità di un contatto con le persone. E così, quando il mio vicino di casa mi ha parlato di un’offerta di lavoro come web developer, ho pensato che accettare e lasciare lo studio fosse la soluzione più adatta a me, anche se la paga era di 750 € al nero per un full time di 8 ore al giorno. Una paga bassa se rapportata agli introiti dell’azienda. Ho lavorato in azienda sette mesi e non ho mai visto nessun controllo da parte dell’Ispettorato e per me denunciare sarebbe stato controproducente».
«Inizialmente lavoravo da casa, poi sono andato in ufficio, ma lo stipendio è rimasto sempre quello. Dopo qualche mese, il capo ha cominciato a promettermi che mi avrebbe fatto un contratto. Ma con la seconda ondata, mi ha lasciato a casa. Per lo Stato non stavo lavorando, per cui non ho potuto accedere a nessuna forma di sussidio. È un lavoro che adesso non accetterei più. Ne ho pagato in prima persona le conseguenze. Adesso faccio il rider, ho mandato curricula ovunque, ma non ho trovato altro».
Le difficoltà legate al genere
Più veloci a laurearsi ma il lavoro arriva dopo: è lo scenario che si prospetta per le neolaureate, almeno secondo lo studio di AlmaLaurea per il Sole 24 Ore del Lunedì. In particolare, nel percorso di studi le ragazze hanno un maggiore successo dei ragazzi: arrivano prima al traguardo - si va dai 26,2 anni delle avvocate contro i 26,6 degli avvocati e delle ingegneri industriali e gestionali ai 26,9 delle biologhe contro i 28 dei biologi - e spesso ci riescono portando a casa un voto migliore.
Alcuni esempi? Il 108 a 106,7 delle architette sugli architetti, il 108,1 a 105,3 delle dentiste sui dentisti e il 107,3 a 105,8 delle ingegnere edili e ambientali rispetto ai loro omologhi maschili. Ma l’accesso al mondo del lavoro avviene più tardi: nelle professioni infermieristiche, i maschi ci mettono quasi sei mesi in meno (6,4 a 12,1) a ottenere il primo contratto. Uniche eccezioni, commercialiste e veterinarie: 11,9 a 12,7 le prime; 9,7 a 9,8 le seconde. Ma una volta entrate nel mondo del lavoro si prospetta un’altra sfida: quello dell’eterno gender pay gap.
Azzurra, 30 anni: «Sono laureata in Grafica e design. Ho cercato un impiego nel mio ambito e ho trovato lavoro in uno studio di comunicazione. Per un periodo ho lavorato gratis, non volevano farmi il contratto. Poi mi hanno fatto un contratto di 6 mesi full time a 600 € (per 8/9 ore al giorno). Finiti i sei mesi non hanno rinnovato il contratto ma sono passata a fornire prestazioni occasionali per 500 €, per le solite 8 o 9 ore al giorno».
«In più facevo anche degli straordinari, in base agli eventi, anche di sabato e domenica. Lo facevo come bagaglio culturale. All’inizio mi spronavano, poi dicevano che non meritavo lo stipendio. Ho capito che non era giusto. A questa età devo far da sola, peraltro non ho i genitori che possono darmi una mano. Quindi ora sto cercando lavoro in altri ambiti».
Quali sono i dati sul lavoro precario in Italia
- 8,6 milioni di italiani in “disagio occupazionale”
- Salario medio degli under 35 italiani: 13.572 euro
- 4,7 milioni occupati a tempo determinato o part-time
- +63,4%: l'aumento in un anno dei contratti con durata tra 1 e 3 giorni
Articolo del 24/06/2021 aggiornato il 15/03/2021.
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