lgbt
I giovani LGBT+ rischiano di suicidarsi almeno 3 volte di più di quelli eterosessuali
Uno degli aspetti più preoccupanti messi in secondo piano in questi due anni e con cui bisognerà fare i conti è la salute mentale. Mentre il governo approva il bonus psicologo, gli esperti del settore lanciano l’allarme sulla crescita di casi, anche tra i giovanissimi, di disturbi psichiatrici. C’è una parte della popolazione che però, dati alla mano, era già considerata più vulnerabile da questo punto di vista. Si tratta delle persone della comunità LGBT.
In particolare, secondo la ricerca “Depression and suicidality in gay men: implications for health care providers”, pubblicata nel 2017 dall’American journal of men's health, gli uomini omosessuali hanno tre volte più probabilità di sperimentare la depressione rispetto alla popolazione adulta generale. E anche i tentativi di suicidio sono più diffusi che tra gli uomini eterosessuali. Tra le cause, secondo lo studio, i problemi di relazione, l'accettazione della propria omosessualità, l'esperienza dell'omofobia, la discriminazione istituzionale. E l’isolamento durante la pandemia ha peggiorato la situazione.
La rete di supporto conta
Milano è una delle città in cui, storicamente, le persone della comunità LGBT+ hanno cercato rifugio, allontanandosi dalle province più piccole per vivere senza nascondersi. Negli anni la città è diventata sempre più aperta e ricettiva, anche se non sono mancati episodi omofobi negli ultimi anni. Ma talvolta la violenza è più subdola e meno esplicita, passa attraverso forme di discriminazione più o meno evidenti, fino a far sviluppare alle proprie vittime forme di depressione o altre patologie. Oltre al bullismo e a contesti poco accoglienti a scuola o al lavoro, che cosa può influire?
«Alcune persone con orientamento sessuale o identità di genere non conforme non hanno il supporto della famiglia», spiega Elisa Senna, psicoterapeuta referente dello sportello psicologico di Arcigay. «C’è un malessere legato alla vergogna e al doversi nascondere». E poi «c’è la difficoltà di trovare un aiuto che comprenda la problematica. Talvolta i servizi a cui si rivolgono non sono preparati». E avere o meno una rete di supporto fa la differenza. Perché il contesto, se è ostile, influisce.
Senna spiega che se la depressione o l’ansia possono essere patologie che colpiscono in modo trasversale, ci sono delle differenze nelle problematiche riportate a seconda delle generazioni. A contattare lo sportello psicologico dell’Arcigay a Milano sono soprattutto persone tra i 15 e i 50 anni. La fascia più critica è quella degli adolescenti, «non perché subiscono più discriminazioni ma perché sono più fragili, sono in una fase della vita in cui stanno costruendo la loro personalità e sono più condizionati da fattori esterni e dalla relazione con gli altri». Ma «i trentenni e i quarantenni sono quelli che vivono peggio la loro sessualità non conforme». Diverse sono le problematiche riportate dai più giovani «che fanno fatica a capire chi sono». E con loro emerge più spesso il tema dell’identità di genere non conforme e del non binarismo.
Resta ancora molta strada da fare
«Rispetto a dieci anni fa, le nuove generazioni sono più aperte e affrontano con più fluidità il proprio orientamento sessuale», spiega Senna. Anche se «c’è ancora molta strada da fare». Conferma Gabriele Piazzoni, segretario generale di Arcigay: «Viviamo in una società che dà per scontato che siamo tutti eterosessuali». Qui subentra anche il tema del “minority stress”. Con questo termine ci si riferisce allo stress a cui sono esposti individui appartenenti a categorie sociali stigmatizzate, quindi solo per il fatto di far parte di una minoranza come quella della comunità LGBT+. Anche per piccole situazioni che però a lungo andare possono avere un impatto, anche profondo. Ad esempio, racconta Piazzoni, «quando si ha 16 anni e si è omosessuali, ma non si ha ancora fatto coming out, e a pranzo, a Natale, la zia fa domande sulla fidanzatina e non si sa come rispondere». Oppure il fatto di leggere racconti, guardare film e cartoni animati, fin da piccolo, solo con personaggi eterosessuali.
Il rischio, oltre a essere sottoposti a situazioni stressanti, è quello di sentirsi sbagliati o fuori luogo. Secondo Piazzoni anche più di altre minoranze perché, spesso, «se si subiscono discriminazioni, ad esempio a scuola, per il proprio colore della pelle e poi si torna a casa si rientra in un ambiente protetto». Mentre per chi ha un orientamento sessuale o un’identità di genere non conforme non è sempre così. «A volte non è possibile parlare con i genitori di quanto è successo o il rischio è di subire una situazione analoga. E talvolta gli stessi meccanismi o le stesse battute sugli omosessuali o altre categorie a cui si appartiene si sentono anche tra le mura domestiche». E a questo punto non tutti reagiscono nello stesso modo al senso di isolamento e stress.
Il rischio di suicidio
I dati sul rischio di suicidio assumono una dimensione ancora più preoccupante in una ricerca del 2018 pubblicata su Jama pediatrics (e PubMed, ndr) che considera un campione di quasi 2 milioni e mezzo di ragazzi eterosessuali e oltre 113mila appartenenti a “minoranze sessuali” tra i 12 e i 20 anni. Secondo la ricerca, dal titolo “Estimating the risk of attempted suicide among sexual minority youths A aystematic review and meta-analysis”, il rischio minimo suicidario per i ragazzi della comunità LGBT+ supera di 3 volte e mezzo quello dei coetanei eterosessuali. Più precisamente, secondo la ricerca, il rischio è di 3,71 volte per i giovani omosessuali, di 4,91 per quelli bisessuali e di addirittura 5.90 se transgender.
«Se si pensa che per i carcerati adulti, che sono una delle categorie a maggior rischio suicidario, questo valore è di otto volte quello della popolazione generale, il fatto che degli adolescenti oscillino tra le quattro e le sei volte ci mette in allarme rispetto alla complessità del problema», commenta Massimo Clerici, docente ordinario di Psichiatria dell’università Bicocca di Milano e uno dei firmatari dello studio. «E anche rispetto alle cause», aggiunge. Ovvero «la visione che il mondo ha di loro, le difficoltà di riconoscimento all’interno della famiglia e dell’ambiente scolastico e dei gruppi di appartenenza e così via». Per Clerici bisogna «rivolgere attenzione al problema e alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Poi, per noi addetti ai lavori, è necessario trovare strategie supportive». Infine crede che debbano essere fatte campagne di destigmatizzazione sull’orientamento sessuale e l’identità di genere rivolte alla fascia adolescenziale.
I disagi mentali tra gli adolescenti
Clerici, che è anche direttore del Dipartimento di salute mentale e dipendenze della ASST Monza, ha notato un incremento dei disturbi psichiatrici tra gli adolescenti con la pandemia. In linea con l’allarme che hanno lanciato i neuropsichiatri nei mesi scorsi. I lockdown e le continue aperture e chiusure, la didattica a distanza e l’isolamento hanno raddoppiato gli ingressi in pronto soccorso di adolescenti per depressione e tentativi di suicidio, ansia, disturbi alimentari. Poi è cresciuto l’uso di droghe, come tentativo di evasione dalla condizione di stress vissuta. Situazioni che sono sì trasversali nella “generazione dad” ma che toccano ancora più da vicino i ragazzi della comunità LGBT+.
Per alcuni di loro, secondo la psicoterapeuta responsabile dello sportello psicologico di Arcigay, Elisa Senna, le chiusure hanno significato anche altro. Chi non si sente accettato dalla famiglia e quindi «vive una doppia vita», che gli permette di essere maggiormente se stesso quando è fuori di casa, si è trovato doppiamente isolato. Le restrizioni «non gli hanno permesso di uscire e vivere nella sua rete maggiormente supportiva».
Lo conferma anche un articolo pubblicato su The Lancet da Cameron K. Ormiston e Faustine Williams del National Institute of Health, secondo cui, dall'inizio della pandemia, negli Stati Uniti, «più del 50 per cento dei giovani delle minoranze sessuali e di genere ha riportato un aumento dell'ansia o dei sintomi depressivi». Tra i fattori che hanno portato a questa situazione ci sono «l'isolamento dai sistemi di supporto, l'assenza di supporto familiare (solo il 33% riferisce di vivere in una casa accogliente per le persone LGBT+ durante la pandemia), e interruzioni dei servizi sanitari».
Segui VD su Instagram.