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Stage e tirocini dovrebbero essere sempre pagati? L'Europa dice no
Indignarsi e poi condannare verbalmente una pratica scorretta richiede uno sforzo moderato. Per cambiare e migliorare c’è bisogno però di azioni concrete, di passi in avanti tangibili. Avranno pensato questo migliaia di studenti (che si stanno mobilitando anche per queste ragioni) quando il Parlamento europeo ha respinto, a maggioranza, due emendamenti all’interno di una risoluzione dal titolo “Rafforzare il ruolo dei giovani europei: occupazione e ripresa sociale dopo la pandemia”, che avrebbero proibito gli stage e i tirocini non pagati.
Chi ha bocciato gli emendamenti contro gli stage gratuiti
La risoluzione è stata approvata, ma due emendamenti, il 3 e il 14, sono stati bocciati. Erano gli emendamenti in cui si chiedeva di “vietare in modo effettivo e applicabile i tirocini e gli apprendistati non remunerati”. Risultato? Il Parlamento europeo ha condannato la pratica degli stage gratuiti, definiti “una forma di sfruttamento dei giovani lavoratori”, ma non ha chiesto concretamente di vietarli.
Il documento finale è stato approvato con 580 voti favorevoli e 57 contrari. I due emendamenti chiave, però, presentati da socialisti e verdi, hanno ricevuto 293 voti favorevoli e 377 contrari. Tra i parlamentari italiani contrari quelli appartenenti alla Lega e Forza Italia, ma anche i centristi Gozi di Italia Viva e Carlo Calenda. Astenuti i parlamentari di FdI. «Nell’anno europeo dei giovani, i vecchi partiti italiani difendono ancora una volta i potenti e tutti quelli che possono così continuare a sfruttare la manodopera giovanile gratuitamente», ha detto Tiziana Beghin, capo delegazione del Movimento 5 Stelle.
Per Daniela Rondinelli del M5S, in Italia «la situazione è disarmante visto che quando va bene ai tirocinanti vengono corrisposti solo dei rimborsi spesa che spesso non coprono nemmeno le spese di spostamento casa-lavoro». Alle accuse rispondono dalla Lega affermando di aver votato un emendamento molto più equilibrato del Ppe, «che condannava stage non retribuiti a meno che non fossero parte di un percorso scolastico formativo», ha dichiarato Elena Lizzi, europarlamentare leghista.
La situazione in Italia e il dibattito su alternanza scuola-lavoro
Il dibattito in Italia è quanto mai attuale, ed è stato innescato dalla tragica morte del diciottenne friulano Lorenzo Parelli, travolto da una trave durante il suo percorso formativo. Migliaia di studenti in queste ore chiedono l’abolizione dell’alternanza scuola lavoro, definendola una forma di sfruttamento lavorativo legalizzato, in cui si impara poco e si diventa manodopera sottopagata, avviando i giovani verso una concezione distorta del lavoro.
Ma non sono solo gli studenti a pensarla così. Lo scorso 8 febbraio un centinaio di docenti ha firmato una lettera in cui si chiede anche l’abolizione dell’obbligatorietà per i percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (PCTO, la nuova alternanza scuola-lavoro). Come ha spiegato a VD Lorenzo Mazzi, professore al Liceo Pietro Bottoni di Milano e primo firmatario della lettera pubblica sui giornali, «la scuola ha un compito ben più alto e ampio della preparazione al lavoro. Solo alcune esperienze sono state formative, mentre altre sono state vissute come una perdita di tempo, come un obbligo a cui bisogna adempiere ma a cui non corrisponde un’utilità didattica e pedagogica».
Secondo Mazzi «agli studenti va dato almeno un rimborso spese, altrimenti è una velata educazione allo sfruttamento. Nella nostra lettera abbiamo chiesto non solo che i PCTO non siano più obbligatori, ma anche che in questi percorsi venga inserito una parte di formazione di diritto e sicurezza sul lavoro. I ragazzi spesso cadono dalle nuvole, pensano che alcuni diritti siano privilegi. Sono abituati quasi ad accettare l’idea che devono pagare per lavorare. E questo stravolge il senso del lavoro».
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