disturbi mentali
Disfunzioni che durano anni. Quando gli antidepressivi ti cambiano la vita in peggio
Andare in depressione a causa degli antidepressivi. Succede a migliaia di persone in Italia (e la nostra è una sottostima, considerato che uno studio medico accurato sui fenomeni di cui parleremo non è stato ancora fatto). La premessa è che le storie che racconteremo non vogliono in alcun modo suggerire una condanna senza appello dei farmaci antidepressivi (ci riferiremo soprattutto – ma non esclusivamente - agli SSRI, inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina), farmaci che continuano a essere un aiuto decisivo in numerosi casi di depressione maggiore con istinti suicidi. In Italia ricorrono a questo tipo di farmaci ogni giorno circa 2,5 milioni di persone. Lo rivela a VD il professor Angelo Barbato dell’Istituto Mario Negri, eccellenza italiana nell’ambito della ricerca farmacologica. «E la tendenza», spiega Barbato, «è in netto aumento: si stima che le vendite siano raddoppiate in circa 15 anni». Con le vendite – e i consumi – cresce anche un altro valore: il numero delle persone che soffrono di effetti collaterali e disfunzioni sessuali da SSRI definiti, da alcuni intervistati, «devastanti». Sulle testimonianze raccolte abbiamo chiesto un parere e offerto spazio anche ad alcune tra le maggiori case farmaceutiche produttrici di medicinali serotoninergici, che non hanno risposto.
Antidepressivi: leggerezza nella prescrizione
Come si arriva agli antidepressivi? Uno dei problemi emersi durante la nostra ricerca è proprio la facilità, la «leggerezza», come la descrivono alcuni intervistati, con la quale alcuni medici prescrivono farmaci SSRI o simili. C’è chi ha cominciato a usare farmaci SSRI dopo un solo attacco di panico. È il caso di Alberto, trentenne toscano, che fino a quel momento viveva «una vita gioiosa. Ero un barzellettiere, amavo scherzare con gli amici. Ora morisse una persona cara non reagirei in nessun modo. Non mi sento depresso, non mi sento niente, sono uno zombie», racconta a VD. Ha quasi trent’anni anche Simone, che si è rivolto alla psichiatra per curare un’insonnia. «Non avevo istinti suicidi, ora invece sono depresso per i problemi sessuali che ho da qualche anno». C’è anche chi, tra gli intervistati, si è rivolto al medico – e ha poi cominciato ad assumere SSRI - per problemi molto seri: depressione, auto isolamento, tentato suicidio. Anche nei loro casi, però, «i benefici portati dai medicinali sono poca cosa se paragonati ai problemi sorti, che durano anche anni dopo aver smesso di prendere le pillole».
Che cos’è la Pssd e quali sono gli effetti collaterali degli antidepressivi
Si chiama Pssd (Post-SSRI Sexual Dysfunction): è la patologia iatrogena (dovuta a un farmaco), causata dai farmaci SSRI e SNRI, caratterizzata da disfunzioni sessuali ed emotive. Disfunzioni che a volte permangono per anni, portando la persona in uno stato di depressione. Elisa, ad esempio, ha fatto uso di antidepressivi, per la prima volta, quando era minorenne. Si era rivolta alla psichiatra infantile per un disturbo ossessivo compulsivo. Poco dopo l’inizio della terapia ha notato una certa incapacità nell’avere orgasmi. Dopo tre anni, però, Elisa smette il farmaco e le disfunzioni sessuali scompaiono gradualmente. I problemi arrivano quattro anni dopo: la psichiatra le prescrive un altro farmaco SSRI. Elisa le ricorda le disfunzioni sessuali vissute anni prima ma la psichiatra sminuisce i possibili effetti. Al secondo giorno di trattamento Elisa si spaventa: mentre si lava nota una completa «anestesia clitoridea. In sole 48 ore era come se una parte del mio corpo fosse scomparsa». Memore delle disfunzioni vissute anni prima, Elisa decide di sospendere immediatamente il trattamento. Oggi, un anno dopo, «è come se fossi ancora sotto antidepressivi. Ho gli stessi effetti e sto mettendo a repentaglio la mia salute psicologica. Nessuno è disposto a rinunciare alla propria sessualità».
Una storia molto simile a quella di Alberto, che ricorda esattamente il giorno in cui è cambiata la sua vita: «Mi svegliai il 13 marzo, aprii gli occhi e capii che mancava qualcosa. Era come se una parte di me non esistesse più. L’istinto è stato quello di toccarmi lì, nella zona genitale. E ho scoperto che era completamente anestetizzata. Quel giorno non lo dimenticherò mai». Alberto aveva preso un farmaco SSRI - per curare gli attacchi di panico - per 4 anni, e lo aveva dismesso pochi giorni prima di quell’amaro 13 marzo. «Oggi, due mesi dopo, nulla è cambiato, anzi». Giorno dopo giorno i sintomi si sono accumulati: azzeramento della libido, ottundimento emotivo, confusione. «Si è innalzata la soglia del dolore su tutto il corpo. Se mi dai un pizzicotto ora non sento nulla». E il filo che lega tutte queste storie è riassunto dallo stesso Alberto, una frase ripetuta da tutti: «Prima non avevo mai avuto questo genere di disturbi». Anche Luca, ventenne, ha cominciato a sviluppare sintomi dopo aver concluso un trattamento che andava avanti da quattro anni: gradualmente è comparsa l’eiaculazione precoce, diminuita l’emotività, si è abbassata, fino ad azzerarsi, la libido e sono sorte le disfunzioni cognitive. Luca è distratto: «Vivo ancora adesso gli eventi come immerso in una melma sfocata», spiega a VD. Nel suo caso il trattamento era iniziato perché, ad appena diciotto anni, appariva «pessimista e preoccupato». «Ma all’epoca sotto la depressione, che vivevo come un macigno, c’ero io che spingevo per uscire. Ora sotto il macigno non c’è niente. Non mi sento più un essere umano, affronto la vita come uno slalom tra difficoltà, esisto ma non vivo. Non vivo un buon pasto, non vivo una giornata al mare, se dormo non riposo, non provo più nulla sentendo gli uccellini».
Effetti collaterali che durano anni
La persistenza di questi effetti indesiderati, per anni, anche dopo la fine del trattamento, è un aspetto che stupisce, spesso non indicato dal bugiardino. Anni di insoddisfazione nei rapporti sessuali, di disfunzioni che si cronicizzano. «Nel mio caso», spiega a VD Rebecca, «non ci ho fatto nemmeno tanto caso, perché ritenevo che quello fosse un aspetto ormai superfluo nella mia vita, un problema a cui non dare troppo peso». Ma chi decide di parlarne deve comunque affrontare medici (molto spesso gli stessi che hanno prescritto con una certa leggerezza il farmaco) che sono scettici, negano o sminuiscono gli effetti, oppure li conoscono a malapena. Ne parla un interessante (e per certi versi pionieristico) studio del dottor David Healy, medico irlandese considerato tra i maggiori esperti di PSSD. I pazienti che hanno partecipato allo studio del professor Healy descrivono i loro medici raccontando le proprie esperienze, palesando la necessità di una maggiore consapevolezza nella comunità medica: «Mi ha detto che era impossibile»; «Ha affermato che i problemi erano tutti nella mia testa», spiegano alcuni pazienti.
Altri vengono ignorati o derisi («Dovresti cambiare partner») oppure capiscono che, per i loro dottori, le disfunzioni sessuali sono molto poco interessanti. A un paziente viene addirittura consigliata la terapia elettroconvulsiva. Le persone intervistate da VD hanno alle spalle esperienze simili: «Mentre raccontavo della mia anestesia genitale il medico mi faceva capire che esageravo», racconta Elisa. Gli specialisti che seguono Virginia, invece, prima le prescrivono degli antidepressivi di vecchia generazione («vere e proprie bombe»), poi sottovalutano gli effetti negativi: «Quei farmaci mi annullavano, non sentivo più niente. Ero assente e isterica, senza libido: non riesco a provare orgasmi ancora ora. Non riuscivo a dormire più, non mi riconoscevo. Si sono accumulati vari disturbi nel tempo. Ma quando ne parlavo i medici mi ascoltavano per cinque minuti e poi mi prescrivevano altri antidepressivi», spiega Virginia. A Luca l’andrologo disse: «Il tuo posto è in psichiatria», sostenendo che la causa delle disfunzioni sessuali non fosse riconducibile ai farmaci SSRI. Prima di quelli, però, la vita sessuale di Luca era pienamente soddisfacente.
Un bilancio difficile
Il bilancio tra i vantaggi arrecati per la cura del disturbo iniziale e gli svantaggi portati dalle disfunzioni sorte dopo l’inizio della terapia (o una volta terminata la terapia) è negativo. «Le disfunzioni erano già note, e sono ampiamente previste nel bugiardino che accompagna ciascun farmaco SSRI», spiega il professor Barbato. «Si riteneva però che questi effetti fossero legati all’uso, e scomparissero quando si smetteva il farmaco. Ora invece notiamo – e sono molte le segnalazioni – che i sintomi persistono, e a volte sorgono, anche dopo il ciclo di somministrazioni». Il professor Barbato racconta che le segnalazioni sono tante: centinaia solo quelle che lui stesso ha raccolto. E i pazienti infatti si stanno radunando in piccole comunità virtuali, come quella rappresentata da Laura, una trentenne affetta da PSSD. «Chi soffre di questa patologia», spiega Laura, «è sostanzialmente abbandonato. Deve trovare da solo le forze e i fondi per prendersi cura di se stesso. Siamo circa cinquanta nel nostro gruppo, e raccogliamo fondi per finanziare la ricerca sulla PSSD. Lo facciamo noi, senza l’appoggio di enti o istituzioni». La questione, però, ruota intorno a una maggiore consapevolezza da parte di tutti: «I medici dovrebbero essere più giudiziosi nel prescrivere, più coscienti degli effetti. E poi si dovrebbe riconoscere che un problema esiste», aggiunge Laura. «Sembra anche a noi», le fa eco il professor Barbato, «che il problema sia sottostimato. C’è una congiura del silenzio involontaria».
Uno studio per rompere il silenzio
I prossimi passi saranno mossi proprio nell’Istituto Mario Negri, in cui lavora il professor Barbato. Uno studio è già in programma: analizzerà gli effetti negativi su un campione significativo di pazienti che hanno assunto SSRI. A quel punto si capirà, probabilmente, che incidenza hanno, nella popolazione italiana, i disturbi di cui stiamo parlando. «La PSSD è un problema che dovrebbe coinvolgere le istituzioni: chi ne è rimasto affetto ha gravemente peggiorato le proprie condizioni psicofisiche», spiega Laura. «Non accade a tutti coloro che assumono questi farmaci, ma è imprevedibile e in questo senso dovrebbe interessare tutti: si potrebbero usare in modo più sicuro e consapevole se ci fosse maggiore chiarezza e consapevolezza da parte della classe medica e trasparenza sui rischi». Il professor Barbato è d’accordo: «È un problema serio che i medici non considerano ancora adeguatamente. Non avere più una vita sessuale è, soprattutto per i giovani, un grave danno. Comporta problemi di autostima, ritiro sociale, vergogna, difficoltà a stringere rapporti sociali». Malesseri che vengono troppo rapidamente bollati come depressione, ricollegati frettolosamente da alcuni medici ai disturbi per i quali il paziente ha cominciato ad assumere antidepressivi: così se ne prescrivono altri, in un loop infinito dal quale è difficile uscire.
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