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Come deve cambiare l'Europa per accogliere un milione di profughi dall'Ucraina
foto di Mirek Pruchnicki
L’Alto commissariato Onu per i rifugiati (UNHCR) stima in un milione i profughi già scappati dall’Ucraina dopo l’invasione della Russia: «Innumerevoli persone sono sfollate all’interno del Paese. E a meno che il conflitto non termini istantaneamente, è probabile che altri milioni saranno costretti a fuggire». L’esodo può coinvolgere oltre quattro milioni di civili: un flusso molto rapido, superiore per l’Europa anche ai profughi, tra il 1992 e il 1995, dalle guerre civili nell’ex Jugoslavia. L’assalto ai treni di Leopoli e alle altre località ucraine ricorda scene della Seconda guerra mondiale. In via eccezionale, per la prima volta Bruxelles ha attivato per gli ucraini la direttiva 55 del 2001 sulla protezione temporanea in caso di “massiccio afflusso di sfollati”, che permette di bypassare le procedure di asilo, lente e tutt’altro che omogenee tra i 27 Stati membri: la proposta ha trovato unanimità nel Consiglio straordinario tra i ministri dell’Interno. Ma l’UE può fare di più, istituendo procedure comuni d’asilo, per finanziare, coordinare e garantire standard d’accoglienza uniformi in tutta l’UE. Possibili solo modificando il regolamento di Dublino III, come chiedono da anni le ong in prima linea nell’accoglienza e Paesi esposti ai flussi migratori dal Mediterraneo come l’Italia, la Grecia e la Spagna, Malta e Cipro.
Il 'no' alle quote dei Paesi di Visegrad – e non solo
In una settimana circa 550mila civili, per la gran parte donne e bambini, sono entrati in Polonia. Più di 130mila in Ungheria e oltre 51mila in Romania, quasi 80mila in Slovacchia secondo gli ultimi dati dell’Unhcr. Altre migliaia hanno raggiunto gli Stati più interni dell’UE, mentre ai valichi di frontiera dell’Ucraina le code di auto e autobus si allungano per chilometri. Gli Stati UE dell’Est del Gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia e Ungheria) sono stati finora i principali oppositori a una redistribuzione equa dei richiedenti asilo nell’UE, perché lontani dagli sbarchi nel Mediterraneo e perché anche l’ondata di profughi del 2015 dal Medio Oriente, arrivata anche dai Balcani, fu assorbita in larga parte dalla Germania e dai Paesi scandinavi.
Anche Paesi come la Danimarca, che rifiutava di recepire la direttiva UE del 2001, o come l’Austria che chiede muri alle frontiere d’accordo con i governi dell’Est, contrastano le quote di ripartizione. Sulla protezione temporanea agli ucraini però nessuno si è tirato indietro: verso di loro Polonia e Ungheria hanno congelato i visti d’ingresso. E di fronte alle critiche per aver lasciato attendere giorni alle frontiere, come “profughi di serie B”, gli stranieri lavoratori, studenti e rifugiati in Ucraina, tanto il governo ultraconservatore polacco Morawiecki quanto quello ungherese Orbàn hanno specificato di aver aperto i confini anche ai cittadini di Paesi terzi in fuga dall’Ucraina.
L’unione nell’UE sui profughi dall’Ucraina
Per la seconda volta in meno di due anni, l’Unione europea si mostra compatta come mai prima, per l’emergenza della pandemia e poi per quella umanitaria. Sull’Ucraina la presidente dell’europarlamento Roberta Metsola ha dichiarato «È il nostro momento, whatever it takes». Eurodeputati come la vicepresidente dell’assemblea Pina Picerno (Pd), dell'Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici, premono affinché oltre «all’ampia convergenza sul percorso di adesione dell’Ucraina all’UEE», questo conflitto possa portare «a rivedere il trattato di Dublino». «Stiamo compiendo passi, dalla crisi pandemica ad oggi, inimmaginabili. Superare il Trattato di Dublino, è certamente uno di questi. Nel futuro si tratterà di rendere questi cambiamenti definitivi e non solo emergenziali», ha dichiarato l’europarlamentare a Vita. Da anni in realtà le istituzioni dell’UE elaborano bozze per modificare la convenzione di Dublino III, che di fatto scarica sui Paesi di primo ingresso nell’UE la presa in carico delle richieste di asilo: per decenni, un onere in gran parte degli Stati del Sud Europa, e dalla fine di febbraio anche di quelli dell’Est.
Le riforme bloccate di Dublino III
Nel 2016 una proposta della Commissione UE confermava la competenza dei Paesi di primo ingresso, ammettendo tuttavia un “meccanismo di emergenza” per assegnare i richiedenti asilo anche agli altri Stati membri, se la pressione sui Paesi interessati avesse superato una soglia insostenibile in base al loro Pil e alle loro popolazioni. L’anno dopo, una proposta di modifica più incisiva dell’europarlamento (approvata a maggioranza dall’assemblea di Strasburgo e recepita poi dalla Commissione UE) abbandonava il criterio dello Stato di primo ingresso, stabilendo la ripartizione dei richiedenti asilo attraverso un sistema permanente di quote tra tutti i Paesi. In base al principio dei Trattati UE «di solidarietà ed equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri».
Il progetto di riforma di Dublino III del 2017 fu bloccato nella successiva votazione - indispensabile nei meccanismi di approvazione comunitari – del Consiglio dell’UE che riunisce tutti i governi per negoziare gli atti legislativi. Trattandosi di un regolamento, cambiare la convenzione sull’asilo non richiede l’unanimità tra i 27 Paesi membri, bensì la maggioranza qualificata del 65% della popolazione degli Stati. Che nel 2018 mancò: il gruppo di Visegrad trovò allora una sponda anche nei tedeschi. L’anno successivo però, anche la Germania ha siglato con la Francia a Malta un’intesa sulla ricollocazione dei migranti sbarcati. E dopo l’avvicinamento nel 2020 la Commissione europea ha proposto un Nuovo patto sulla migrazione e sull’asilo, fermo da allora anche a causa dell’emergenza per il Covid-19.
Le raccomandazioni per norme di asilo comuni
A sostegno della riforma, attraverso l’iniziativa di democrazia partecipativa dell’UE della Conferenza sul Futuro dell’Europa, dai cittadini europei sono state messe nero su bianco in questi mesi delle raccomandazioni per rivedere in modo assai di più esteso le politiche migratorie. Cambiando Dublino III, ma anche fissando criteri comuni sull’asilo e coordinando l’accoglienza a livello europeo, con fondi e strutture UE. Nella raccomandazione 33 si chiede di «sostituire il sistema di Dublino con un trattato giuridicamente vincolante per garantire una distribuzione giusta, equilibrata e proporzionata dei richiedenti asilo nell'UE», partendo dalla bozza del patto UE del 2020.
Nella numero 35 un «forte sostegno finanziario, logistico e operativo dell'UE per la gestione della prima accoglienza». Nelle raccomandazioni 37 e 38 i cittadini chiamati a esprimersi da tutti gli Stati membri propongono di «creare un'istituzione orizzontale dell'UE o di rafforzare l'Agenzia UE per l'asilo in modo che il trattamento delle domande e le relative decisioni abbiano luogo per l'intera UE sulla base di norme uniformi». E di «istituire senza indugio appositi centri di asilo per i minori non accompagnati in tutti gli Stati membri dell'UE».
I governi UE contro l’accoglienza permanente
Aprendo la conferenza nel 2021, la presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen si è detta pronta ad attuare le raccomandazioni, votate ad ampia maggioranza da centinaia di persone comuni per ridefinire le politiche future dell’UE. Le proposte popolari sono adesso discusse e mediate nell’assemblea dell’europarlamento con i deputati e rappresentanti della Commissione UE e dei governi nazionali. Far approvare a tutti gli Stati membri modifiche permanenti per redistribuire tutti i richiedenti asilo, e non solo gli ucraini, non si profila facile: i governi dell’Est hanno accettato le deroghe sugli sfollati perché la protezione della direttiva UE del 2001 è per definizione provvisoria, prorogabile da uno al massimo a due anni.
Eppure, con i ponti aerei organizzati durante il ritiro dall’Afghanistan la scorsa estate i Paesi dell’UE hanno dimostrato che, quando vogliono, sono in grado di mettere in campo rapidamente strutture e personale, per emergenze umanitarie anche lontane dall’Europa. L’accoglienza di milioni di ucraini rappresenta per l’UE, oltre che un’urgenza, il momento giusto per promuovere con coraggio un cambio di passo in tutti i Paesi.
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