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In Italia, le persone LGBT subiscono i pregiudizi anche in ospedale
Cinquanta richieste di aiuto al giorno, soprattutto da adolescenti, al numero dedicato, esclusione familiare, discriminazioni sul lavoro. L’Italia ha un problema con le persone LGBT, tanto che per ILGA-Europe il nostro paese si piazza tra gli ultimi, in Europa, per l’accettazione dell’omobitransessualità. Mentre Portogallo, Finlandia, Spagna e Svezia si posizionano ampiamente sopra il 60%, l’Italia è fanalino di coda col suo 22%, poco sopra la Polonia, ultima, al 13%. Un problema di integrazione le cui soluzioni scatenano, come nel caso del DDL Zan, aspre polemiche ma che poi, però, vengono dimenticate nello spazio di un post. Da tutti ma non dalle persone LGBT che quei problemi li vivono sulla loro pelle. Alcuni evidenti, come nel caso delle aggressioni, aumentato fino al 28% durante la pandemia, altri più sottili, come le discriminazioni che subiscono quando vanno dal medico o negli ospedali. In momenti di grande vulnerabilità e bisogno, quando servirebbe loro comprensione e invece si trovano a dover combattere contro nuovi stereotipi. Ne abbiamo parlato col dott. Roberto Buonincontro che ha realizzato, con la prof. Baluganti e il dott. Ardis, una tesi e studio su questo problema.
Lo studio sulle discriminazioni per le persone LGBT nella sanità
Il dott. Buonincontro ha eseguito un test su 318 professionisti sanitari. «Abbiamo visto che dallo studio del 2012 nulla è cambiato» dice a VD. «Da alcuni studi scientifici risulta che molti ragazzi proprio perché vittime di bullismo si sono allontanati dalle cure pubbliche e dalla prevenzione primaria e questo incide sul loro percorso di salute e di prevenzione». Il problema sono i pregiudizi a cui sono esposti quando entrano in contatto con medici e infermieri e che finiscono per allontanarli dalle cure cui hanno diritto. A G. è successo dalla ginecologa: «Durante una visita normalissima ho dovuto menzionare il fatto che fossi lesbica e la visita si è spostata totalmente su quello. La dottoressa mi ha chiesto se fossi sicura di non essere mai stata con uomini per poi concludere la visita dicendo: “il vaccino per il papilloma te lo faccio lo stesso che poi nella vita si cambia sempre idea”».
Oppure a D. dallo psichiatra: «Una psichiatra, che aveva richiesto il mio ricovero a causa di una psicosi, mi disse che ero bisessuale per un disturbo bipolare borderline». Lo stesso è successo a C. con la ginecologa che, dopo una visita per vulvodinia, una malattia esclusivamente fisiologica, ha individuato nella bisessualità della ragazza una causa del disturbo, perché: «la confusione che hai in testa può influire sullo stato di salute». Tre esempi di un problema più vasto. «Quando un ragazzo sa che verrà discriminato» ci conferma il dott. Buonincontro «non si aprirà mai con il servizio sanitario ma tenderà a evitarlo subendo una ripercussione drammatica sulla malattia o su quel problema che vorrebbe risolvere».
Le conseguenze dei pregiudizi
Lo studio è stato effettuato in una delle regioni italiane all’avanguardia nell’aggiornamento del personale sulle tematiche LGBT. Eppure, anche in una regione virtuosa, i bias e i pregiudizi possono avere effetti sui pazienti. Dallo studio è, infatti, emerso che più del 50% delle persone transessuali non si rivolge al medico né a un infermiere, peggiorando le proprie condizioni di salute, sia fisica che psichica. Questo tipo di pregiudizi, legati a una serpeggiante eteronormatività, impatta soprattutto sui più giovani. «Nessuno prende atto dell’impatto psicologico sull’adolescente» ci spiega il dott. Buonincontro. «Subire una discriminazione o una forma di bullismo a dodici anni o a quindici anni è drammatico per un ragazzo e se non ha un’istituzione che lo tuteli in qualche modo, un professionista che lo tuteli, andrà sempre peggio».
Un'opzione sarebbe l’introduzione dell’infermiere scolastico: «Perché si può parlare di tutto con lui e può intervenire in modo tecnico pratico su problematiche acute. Esiste un master di infermiere di famiglia e di comunità che in qualche modo accende un faro sulle scuole, le quali, però, hanno una resistenza in questo senso». Una resistenza forse collegata al timore di introdurre una qualche forma di educazione sessuale ed LGBT negli istituti. Così i giovani sono spesso soli, perché non sempre la famiglia riesce a capire e aiutare: «In famiglia c’è ancora un tabù sull’argomento quindi un ragazzo non sa a chi rivolgersi, alimentando il suo malessere, fisico ma anche psicologico. A quattordici anni ho avuto il coraggio di dire di essere omosessuale e pensavo di avere dalla mia parte la famiglia. Invece mia madre mi disse: “Io ho altri bambini piccoli in casa, non si possono portare malattie in casa, dovresti trovare un’altra sistemazione”. Per lei l’omosessualità era uguale a malattia».
Come combattere i pregiudizi
Un’indagine statistica dell’OCSE, pubblicata nel 2019, ha dimostrato che il livello di accettazione della comunità LGBT in Italia è tra i peggiori nella media degli altri paesi del gruppo. Discriminazioni che si ripercuotono su tutti gli aspetti della vita: si va dalle vere e proprie aggressioni (nel nostro paese manca ancora l’aggravante dell’omotransfobia) ai problemi sul lavoro. A parità di curriculum, infatti, i candidati italiani omosessuali hanno circa il 30% di probabilità in meno di essere chiamati per un colloquio di lavoro rispetto ai candidati italiani eterosessuali. La strada è ancora lunga ma, almeno per la sanità, il dott. Buonincontro ha una soluzione: la formazione degli infermieri, il ponte tra sanità e pazienti.
«L’infermiere è fondamentale» conferma il dott. Buonincontro. «Spinto dal codice deontologico, può supportare qualsiasi comunità, perché ha gli strumenti per educare. Se venissero fatti più corsi di formazione su alcune tematiche si abbatterebbero i tabù. Coinvolgendo anche le famiglie. L’infermiere è la figura chiave, ma nel corso di laurea non ci sono tematiche di questo tipo. Già inserirli nel corso di studi sarebbe qualcosa di innovativo. E spingere, così, il mondo scientifico ad aprirsi alla formazione degli infermieri su questi temi. Ma per questo servono campagne di sensibilizzazione che riescano a cambiare la situazione e, soprattutto, ad abbattere i pregiudizi».
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