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Il legame tra Hikikomori e nuove dipendenze

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A Milano, nei pressi della Stazione Centrale, esiste un centro di studio e di terapia su nuove dipendenze patologiche e problematiche relazionali. Si chiama Cooperativa Sociale Onlus Hikikomori. Quello che mi colpisce, quando arrivo, è la cura dell’arredamento: ispira calore, accoglienza. Impossibile non sentirsi a proprio agio. Le stanze emanano un’atmosfera intima e piacevole, due di loro hanno il camino, in un’altra noto una teiera, poggiata su un tavolino. Espongo le mie riflessioni alla dott.ssa Valentina di Liberto, fondatrice del centro Hikikomori di Milano. Mi risponde, calibrando la soddisfazione, che la sede è stata scelta con cura, tenendo conto proprio di questi aspetti. È importante per un paziente trovarsi in un ambiente ospitale, accoglierlo con una buona tazza di tè, a quanto pare, può essere di supporto alla parte terapeutica.

VD: Nuove dipendenze. Che cosa si intende?

Dott.ssa di Liberto: Si tratta di dipendenze comportamentali. Non necessitano l’uso di sostanze, come droga o alcool. Si tratta di attività socialmente accettate. Si strutturano quando un determinato comportamento torna nella mente di un soggetto più volte in una giornata e in maniera ossessiva.Caratteristica di queste nuove dipendenze poi, è la voglia di aumentare le “dosi”,quindi ripetere più volte lo stesso comportamento per ottenere un effetto di euforia, eccitazione e gratificazione.

VD: Quali sono le principali?

DL: Sicuramente il gioco d’azzardo patologico, la dipendenza da internet e da videogiochi, lo shopping compulsivo, il trading online, la dipendenza affettiva, la dipendenza da lavoro e la dipendenza sessuale che all’interno di internet diventa cyber sex o la fruizione di materiale pornografico. Collegati in parte alla dipendenza da internet e dai videogiochi, si possono riscontrare dei fenomeni nuovi di ritiro sociale che possono degenerare nei casi più gravi nella sindrome di Hikikomori (autoreclusione volontaria).

Sindrome di Hikikomori e nuove dipendenze

VD: Quali sono i soggetti più a rischio?

DL: Sicuramente tutti quelli con un quadro psicopatologico pregresso. Potrebbero partire da disturbi di personalità o disturbi borderline. A rischio sono anche i soggetti che hanno difficoltà nella gestione dell’ansia e dello stress. Una dipendenza comportamentale è una sorta di anestetico: allevia la sofferenza data da questi disagi psichici. Nei casi di dipendenze affettive, inoltre, spesso si parte da eventi di maltrattamenti in famiglia o abusi.

VD: Com’è possibile trattarle e guarirle invece?

DL: Un intervento terapeutico è imprescindibile. È importante lavorare in profondità e capire quali sono i nuclei del disagio che hanno favorito la dipendenza. Ad esempio, le persone con dipendenza affettiva, da shopping, da internet o da gioco d’azzardo, hanno in comune spesso una bassa autostima. Inconsapevolmente, sono convinti di non valere abbastanza.

VD: Le nuove dipendenze sono tante e diverse. Esiste un unico disagio di fondo che le accomuna?

DL: Ci sono delle ferite che derivano dalla fase primaria dell’infanzia, dagli 0 ai 5 anni. Se il contesto famigliare non ha dato al bambino sicurezza, protezione, riconoscimento, presenza e amore, allora per il soggetto sarà più facile, in futuro, immergersi in una dipendenza comportamentale.

Anonimato e accessibilità di internet sono alla base delle nuove dipendenze

VD: Quando la società si accorge che le nuove dipendenze sono un problema reale?

DL: Le dipendenze comportamentali appartengono decisamente al nostro momento storico. Prendiamo il gioco d’azzardo; prima era un fenomeno circoscritto. Si trattava di poche persone benestanti che giocavano nei casinò e nelle sale dedicate. Adesso il gioco è molto più accessibile: dai casinò si è passati ad apparecchiature alla portata di tutti come le slot machine o i gratta e vinci. Anche internet ha contribuito allo sviluppo progressivo delle nuove dipendenze. La possibilità di rimanere anonimi, grazie alla Rete, è un fattore importante: per esercitare una dipendenza non si deve più uscire di casa e si può reiterare certi comportamenti in qualsiasi momento della giornata.

VD: Quando nasce il vostro centro?

DL: Nasce nel 2012, dall’incontro di un piccolo nucleo di sociologi e psicologi che lavoravano nell’area delle dipendenze tradizionali ed erano interessati allo sviluppo del fenomeno delle New Addiction. Oggi abbiamo una rete di collaboratori che si sta attivando anche in altre regioni italiane. Da qualche tempo abbiamo aperto un altro centro a Firenze con un progetto finanziato dal Comune, sulla gestione dei conflitti all’interno del settore educativo. Siamo una realtà in crescita.

VD: Lo ha accennato all’inizio dell’intervista, collegandola alla dipendenza da internet e dai videogiochi. Ci parli del fenomeno di Hikikomori.

DL: Il fenomeno è nato in Giappone a metà degli anni Ottanta. Lo psichiatra che ha coniato il termine di Sindrome Hikikomori è Saito Tamaki ed è stato uno dei primi a studiare il fenomeno attraverso la pratica terapeutica. I primi casi erano una serie di adolescenti maschi, figli unici, i quali si isolavano, rinchiudendosi all’interno della propria stanza, per un periodo minimo di almeno sei mesi. Ma l’autoreclusione poteva durare anche diversi anni. Oggi in Giappone ci sono circa un milione di casi di Hikikomori e si parla di seconda generazione di autoreclusi. Sono diversi i fattori che hanno contribuito all’emergere del fenomeno. Da una parte ci sono le componenti sociali, dall’altra un contesto famigliare particolare. La società giapponese è molto competitiva: i ragazzi con questa patologia sono in genere figli di direttori di grandi aziende e di multinazionali. Su di loro incombono grosse aspettative, come l’esigenza di ripercorrere la carriera del padre. E il contesto scolastico non aiuta: il Giappone è molto rigido. Ci sono stati alcuni casi di suicidi tra i bambini della scuola elementare per non aver raggiunto i risultati scolastici che genitori e insegnanti si aspettavano. La vergogna supera ogni limite. Nel contesto famigliare, questi ragazzi sono vittime di madri iperprotettive, controllanti, che cercano di chiudere il proprio figlio all’interno di un guscio protettivo. Il ragazzo sviluppa in alcuni casi dei comportamenti regressivi quando si autoreclude. È come se cercasse di tornare ad uno stadio infantile. Al contrario, i padri sono delle figure assenti. In Italia non ci sono ancora dati certi, ma da alcune indagini effettuate di recente si parla di una stima che oscilla fra i 30mila e i 50mila casi di Hikikomori. Da noi, il fenomeno è emerso negli anni 2000, quando alcuni psicoterapeuti presero in carico degli adolescenti che avevano abbandonato la scuola per ritirarsi all’interno della propria casa.

La madre iperprotettiva è centrale nello sviluppo della sindrome di Hikikomori

VD: Ci sono delle similitudini o delle differenze tra Italia e Giappone riguardo a questo fenomeno?

DL: Sicuramente la figura della madre ha delle somiglianze: anche in Italia, spesso è iperprotettiva e cerca di tenere al sicuro il proprio figlio anche in tarda età. Il punto è che la maggior parte di questi ragazzi sono molto intelligenti e dotati, specialmente nell’ambito informatico e tecnologico. Quindi le aspettative su di loro sono molto alte per quanto riguarda le prestazioni scolastiche. Il problema è che loro hanno una grossa difficoltà nella gestione nell’ansia. Le aspettative scatenano uno stress elevato. Per questo rinunciano alla competizione: la paura del fallimento è troppo alta.

VD: Come combattere, ogni giorno, l’attrazione verso le dipendenze?

DL: Mi sento di dire questo: è importante per i genitori non lasciare da soli e per troppo tempo i loro bambini davanti a PC, videogiochi e apparecchiature tecnologiche. Ci deve essere un controllo da parte degli adulti e un tempo di esposizione moderato. Mentre un bambino, nella fascia dai 3 ai 5 anni, non dovrebbe essere lasciato solo davanti a questi strumenti. Gli stessi inventori e creatori di giochi educativi digitali per bambini hanno riscontrato potenti effetti di stimolazione visiva ed emotiva durante la fruizione. In assenza del supporto tecnologico il bambino dimostrava aggressività verso i genitori. Si consiglia pertanto di non somministrare queste apparecchiature tecnologiche a bambini troppo piccoli che non hanno ancora imparato a parlare. Diverrebbero vittima di una serie di iperstimolazioni ed effetti di euforia, simili a quelli che un adulto prova in un comportamento di dipendenza.

VD: Sta dicendo che in futuro sarebbero più esposti al rischio di cadere in una dipendenza?

DL: Esattamente.

Umani: Ep.3 - Gli adolescenti

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