riscaldamento globale
'Giudizio Universale': è iniziata la prima causa contro l'Italia per non aver affrontato la crisi climatica
La chiamano “Giudizio Universale”: è la prima causa intentata allo Stato italiano per inazione climatica. Ieri c’è stata l’udienza iniziale al Tribunale di Roma e la costituzione in giudizio dello Stato italiano, rappresentato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e difeso dall’Avvocatura di Stato. Il primo contenzioso climatico della storia d’Italia era stato presentato a giugno, e da allora alcuni ricorrenti parlano di “causa storica”.
Chi ha fatto causa allo Stato per inazione climatica
Sono 203 i ricorrenti: 24 sono associazioni, 17 minori (rappresentati dai genitori) e 162 adulti, assistiti da un team legale composto da avvocati e docenti universitari (tra i fondatori della rete di giuristi “Legalità per il clima”). Prima ricorrente è l’associazione “A Sud”, un’associazione indipendente nata nel 2003, che si occupa di «conflitti ambientali, di quelle battaglie di difesa e resistenza che uomini e donne [...] portano avanti per difendere il diritto a scegliere sul futuro dei propri territori». «Stiamo scrivendo la pagina italiana della storia del movimento globale per la giustizia climatica. Dopo decenni di dichiarazioni pubbliche che non hanno dato seguito ad alcuna azione all’altezza delle sfide imposte dall’emergenza climatica, la via legale è uno strumento formidabile per fare pressione sullo Stato affinché moltiplichi i suoi sforzi nella lotta al cambiamento climatico. Come società civile abbiamo il compito di fare tutto il possibile per scongiurare la catastrofe alle porte», ha dichiarato Marica Di Pierri, portavoce dell’associazione "A Sud".
Luca Mercalli, presidente Società Meteorologica Italiana, è tra i ricorrenti: «Da decenni lo Stato italiano promette di ridurre il proprio impatto sul clima, di mitigare i rischi, di costruire resilienza verso le conseguenze del riscaldamento globale. Ma alle parole non corrispondono i fatti, sempre insufficienti e sottodimensionati rispetto all’urgenza. E soprattutto, mentre con una mano promette transizioni verdi con l’altra continua a sostenere le pratiche più perniciose per l’ambiente. Per questo faccio causa al mio Stato». Anche Silvia Ferrante, educatrice ambientale, è tra i ricorrenti. Con lei c’è il figlio, di 11 anni: «Come genitore di un bambino di 11 anni che ha paura di un temporale per gli effetti disastrosi che può avere, lo sosteniamo nel fare causa allo Stato, perché è tempo di agire e di affrontare seriamente la situazione».
Cosa chiedono i ricorrenti
L’obiettivo è che il tribunale dichiari lo Stato responsabile di inadempienza nel contrasto alla crisi climatica. Attraverso una corposa produzione tesa a dimostrare lo stretto legame tra cambiamenti climatici e diritti umani violati, i ricorrenti chiedono al giudice: - di dichiarare lo Stato italiano responsabile di inadempienza nel contrasto alla crisi climatica- di condannarlo alla riduzione delle emissioni di gas serra del 92% entro il 2030.
«Questo giudizio si inserisce nel solco dei contenziosi climatici contro gli Stati che si stanno celebrando in tutto il mondo. Nasce dalla incontrovertibile contraddizione che esiste tra le misure di contenimento delle emissioni che lo Stato italiano dovrebbe adottare per contrastare efficacemente il riscaldamento globale e le inadeguate iniziative concretamente poste in essere. Non chiederemo al Giudice alcun risarcimento, ma piuttosto di ordinare allo Stato di abbattere le emissioni di gas serra per portarle ad un livello compatibile con il raggiungimento dei target fissati dall’Accordo di Parigi al fine di tutelare e proteggere i diritti fondamentali dell’uomo», dichiarano gli avvocati.
Dennis van Berkel, avvocato della Fondazione Urgenda e Direttore del Climate Litigation Network, spiega: «Questa causa ha il potenziale di cambiare le politiche climatiche dell’Italia per i prossimi decenni. Questa causa ci dà la speranza che non dovremo subire le conseguenze dell’emergenza climatica, ma che azioni concrete possono essere effettivamente intraprese».
Il dialogo fra scienza e politica
Sulla mancata collaborazione fra politica e scienza si era soffermata, circa un anno fa, una lettera aperta del comitato scientifico “La scienza al voto”. Antonello Pasini, fisico e climatologo del CNR è il primo firmatario e coordinatore del comitato. Intervistato da VD, Pasini ha parlato della necessità di una collaborazione gomito a gomito tra politici e scienziati del clima e dell’ambiente a proposito di climate change.
«Non a caso parliamo di crisi e non di cambiamento climatico. E questo è piuttosto significativo. Noi vogliamo paragonare quello che sta accadendo a livello climatico con quanto si sta verificando con il covid: se abbiamo un comitato tecnico scientifico per affrontare il coronavirus, è forse il caso che si faccia qualcosa di analogo per l’emergenza climatica. Covid e crisi climatica hanno molti punti di contatto. Sono iniziati entrambi con numeri molto piccoli, che non preoccupavano. Sono in tanti a pensare che non sia grave che il mondo si sia scaldato di un grado nel giro di cento anni. Ma se lasciamo che tutto proceda business as usual, tra 80 anni la temperatura aumenterà di quattro gradi».
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