riscaldamento globale
Sul riscaldamento globale dovrebbero decidere gli scienziati
L’obiettivo al 2050 è quello di ridurre le emissioni di circa il 40% rispetto al consumo attuale: il Piano climatico italiano presentato - in ritardo - a Bruxelles punta al traguardo della neutralità climatica contro il riscaldamento globale. Vale a dire una condizione in cui «le residue emissioni di gas a effetto serra sono compensate dall’assorbimento di CO2», grazie al ricorso al suo stoccaggio geologico e al suo riutilizzo. A leggere il documento realizzato dall’ex ministero dell’Ambiente, verrebbe da entusiasmarsi. C’è, però, un “ma”: ai processi snocciolati dalla Strategia Nazionale di lungo periodo non è prevista la partecipazione degli scienziati. Che intanto inviano una lettera aperta al neo ministero della Transizione ecologica. Un piano, quindi, che rischia di essere solo greenwashing. Insomma, almeno al momento, la transizione ecologica è guidata dai politici e non dagli esperti. Uno stallo all’italiana.
La strategia nazionale di lungo periodo: un’occasione mancata?
Lo scenario di decarbonizzazione deve essere raggiunto attraverso alcuni punti chiave, dalla contrazione della domanda di energia, grazie alla riduzione della mobilità privata e l’incremento di quella pubblica, ai consumi in ambito civile, all’utilizzo delle fonti rinnovabili, alla produzione di idrogeno, passando per l’aumento della presenza delle superfici forestali per l’assorbimento di CO2. In particolare, l’energia elettrica sarà garantita tra il 95% e il 100% da fonti rinnovabili come eolico e solare, fonti rispetto alle quali il neo ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani aveva dimostrato più di qualche perplessità. Altro punto, lo sviluppo di un modello di economia circolare, che possa rendere marginale l’uso energetico dei rifiuti, fonte di energia non rinnovabile. Come sottolinea il documento, però, tutto è subordinato alla situazione sanitaria legata al covid. Quindi potranno esserci variazioni anche importanti sul tema. Se in positivo o in negativo, spetterà al tempo rivelarcelo. Anche l’agricoltura rappresenta un punto debole del piano, perché contribuisce sensibilmente all’emissione di gas serra e, almeno per il momento, non siamo in possesso di tecnologie che possano mitigare questo impatto. Ma la strategia è resa zoppa soprattutto dalla mancata istituzione di un comitato scientifico che coinvolga gli scienziati del clima e dell’ambiente, ricalcando quanto avvenuto con la crisi innescata dal covid. Il comitato, rivendicato dagli studiosi, potrebbe infatti rappresentare la chiave di volta nella lotta al climate change. E soprattutto potrebbe cominciare a diffondere l’idea che quella stiamo affrontando è una crisi climatica, innescando un cambio di passo nelle coscienze di ognuno.
Quel mancato dialogo fra scienza e politica
Antonello Pasini, fisico e climatologo del CNR è il primo firmatario della lettera aperta pubblicata dal comitato scientifico La scienza al voto, di cui è coordinatore. Intervistato da VD, Pasini ha parlato della necessità di una collaborazione gomito a gomito tra politici e scienziati del clima e dell’ambiente a proposito di climate change. «Non a caso parliamo di crisi e non di cambiamento climatico. E questo è piuttosto significativo. Noi vogliamo paragonare quello che sta accadendo a livello climatico con quanto si sta verificando con il covid: se abbiamo un comitato tecnico scientifico per affrontare il coronavirus, è forse il caso che si faccia qualcosa di analogo per l’emergenza climatica. Covid e crisi climatica hanno molti punti di contatto. Sono iniziati entrambi con numeri molto piccoli, che non preoccupavano. Sono in tanti a pensare che non sia grave che il mondo si sia scaldato di un grado nel giro di cento anni. Ma se lasciamo che tutto proceda business as usual, tra 80 anni la temperatura aumenterà di quattro gradi. Si tratta di una crescita non lineare». Altro punto di contatto con la pandemia, “i tempi di ritardo”. «Quando ci si mette in lockdown, si vedono i risultati dopo 15-20 giorni. Lo stesso vale con la riduzione dell'anidride carbonica: i risultati si vedono dopo 20-30 anni, perché la CO2 ha un tempo di permanenza in atmosfera di decenni. Proprio per questo dobbiamo programmare le nostre azioni in tempo». L’emergenza climatica, come spiega Pasini, si è aggravata proprio nel corso dell’ultimo decennio. «Stiamo assistendo a un innalzamento della temperatura molto rapido, con un trend in aumento da almeno 50-60 anni. Nell’ultimo periodo c’è stato anche un incremento degli eventi estremi, come siccità e precipitazioni violente, che sono pericolosi per una serie di attività umane fondamentali, tra cui l’agricoltura». Troppo debole, quindi, il Piano climatico italiano al 2050. «Per il momento non è ancora in linea con gli accordi di Parigi e con quello che chiede l’Europa. Per esempio manca una considerazione importante del capitale naturale, notato anche dal comitato scientifico del WWF, che abbiamo menzionato nella nostra lettera». Insomma, manca una programmazione attenta della transizione energetica ed ecologica. «Per adesso abbiamo una bozza, aspettiamo di vedere la Strategia definitiva. E speriamo di poter dare concretamente una mano. Come scienziati infatti vogliamo dare un contributo ad andare verso soluzioni che siano efficaci, perché è molto facile attribuire l’etichetta di ‘soluzione verde’, che punta qualitativamente alla risoluzione del problema. Ma noi studiosi siamo quantitativi, siamo abituati ai conti, ci sono tante strade che possono essere qualitativamente valide senza puntare alla risoluzione del problema, come nel caso di maquillage o del greenwashing. Ci vuole un insieme di competenze che siano complementari tra loro, non si deve essere settoriali. Ecco perché è importante avere un comitato scientifico di consulenza che racchiuda più professionalità».
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