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L'ambientalismo italiano è in crisi
Piazze gremite come non si vedeva da tempo, manifesti coloratissimi, slogan, e molta passione. I Fridays for future sono entrati di prepotenza nel nostro menu settimanale a partire dallo “sciopero” di Greta Thunberg nel 2018. La giovane attivista svedese ha saputo creare attorno a sé un’attenzione rimbalzata da media in media, con un effetto moltiplicatore dirompente che ha avuto il merito di porre nuovamente al centro del dibattito il tema della sostenibilità.
Il video dell’intervento alle Nazioni Unite è diventato virale in poche ore, con la frase “Come osate” a far da cappello alle domande. Ma le immagini degli studenti che si accalcano nelle piazze evocano, per contrasto, la scomparsa del movimento ambientalista dai radar della politica italiana. Salito alla ribalta sul finire degli anni Ottanta, ha conosciuto una stagione di discreta visibilità per poi sparire nel nulla in tempi recenti.
L'assenza del movimento ambientalista dal dibattito politico italiano lo differenzia dal resto del mondo occidentale
La “crisi di vocazioni” è indubbia. Qualche anno fa il WWF ha chiuso quasi tutte le sedi regionali, riducendo drasticamente il personale. «Gli iscritti sono scesi dai 300mila di inizio anni Novanta a circa 60mila attuali» lamentava il direttore generale Gaetano Benedetto in un colloquio con il Fatto Quotidiano.
«Oggi le persone non aderiscono più in toto a un’organizzazione: semmai condividono un’iniziativa, una campagna specifica, per la quale sono ancora disposti ad aprire il portafoglio. Noi abbiamo almeno 40mila persone che donano ogni anno almeno una cifra pari o superiore alla quota associativa di 30 euro, ma non si associano. Sono persone sempre diverse, donatori che ti devi ogni volta conquistare». E conquistarli costa.
Oggi le persone non aderiscono più in toto a un’organizzazione: semmai condividono un’iniziativa, una campagna specifica
Ma c’è anche un fattore organizzativo. Troppi progetti aperti e poco coordinamento significano spreco di risorse. La ricetta della crisi si completa spolverando con il calo dei finanziamenti pubblici, seguito alla grande recessione.
E poi, naturalmente, c’è il contesto nazionale. «I numeri della Germania e del nord Europa non li abbiamo mai raggiunti, ma se mi chiede il perché della crisi dell’ambientalismo rispondo che c’è una parola italiana che non esiste in nessuna altra lingua europea: condono». A parlare è Enrico Fedrighini, storico esponente dei Verdi milanesi. Lo abbiamo raggiunto al telefono.
C'è una parola italiana che non esiste nelle altre lingue: condono
«È vero, in tutti i paesi mediterranei» spiega «i partiti green fanno fatica. Non so quanto conti l’etica cattolica che induce a perdonare sempre, ma il dato di fatto è che c’è una differenza nel modo di concepire se stessi in rapporto con lo spazio pubblico. Da noi si paga un condono e ci si pone al di sopra della legge».
Fedrighini, una lunga esperienza nelle istituzioni, ricostruisce in maniera appassionata la storia dell’ambientalismo tricolore degli ultimi trent’anni. Un racconto che conosce momenti gloriosi. «I Verdi italiani sono stati tra i primi ad andare al governo. A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta abbiamo avuto un ruolo fondamentale nella creazione di una normativa ad hoc: le leggi sui rifiuti, l’istituzione dei parchi nazionali e regionali, la stessa creazione di un Ministero dell’Ambiente».
Sul territorio sono rimaste figure di secondo piano, che hanno preso il partito e l’ambientalismo come un autobus
Ma ci si può ammalare anche di successo. «Ai tempi in Parlamento, per noi, sedevano personalità di spessore, provenienti, ad esempio, dalla chimica, dalla fisica. Il problema è che, così, i migliori dirigenti sono finiti a Roma, in un progressivo processo di avvicinamento alla politica nazionale. Sul territorio sono rimaste figure di secondo piano, che hanno preso il partito e l’ambientalismo come un autobus per raggiungere obiettivi personali».
Come se ne esce, quindi? «Per riconquistare la gente bisogna ripartire dal locale, dove l’amministrazione è meno complessa e i risultati sono immediatamente visibili. Questo è ciò che accade in Germania (dove i Verdi sono una storica forza, ndr)». I Fridays for future aiutano? «Credo di si, vedo una partecipazione intensissima. Ma uno della mia età non deve andare in piazza a manifestare con i ragazzi che chiedono risposte. Deve darle, quelle risposte, con serietà e coerenza, soprattutto se è un amministratore. Purtroppo, non siamo un paese dove la coerenza paga».
La coerenza funziona, l'oltranzismo no: l'ambientalismo deve rientrare in contatto con le persone
Ma non paga nemmeno l’oltranzismo. Monza, pochi chilometri a nord di Milano. Nel tempio della velocità esiste un movimento ambientalista locale contrario all’Autodromo. Il circuito risale al 1922 e da allora è incardinato nello splendido parco che circonda la Villa Reale, gioiello settecentesco del Piermarini.
Una collocazione che ha contribuito a renderlo un’icona, un pezzo di storia del nostro paese, al pari di certi complessi industriali recentemente riscoperti. I più moderati propongono di chiuderlo, ma non manca chi suggerisce di raderlo al suolo. Una minoranza molto rumorosa, ma con scarso seguito: difficile che un atteggiamento del genere attiri simpatie in una città conosciuta in tutto il mondo per la Formula Uno. Si, forse è il momento di riprendere il contatto con la gente. E, in questo percorso, anche Greta può aiutare.
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