elezioni europee
L'Europa è sempre più green, tranne l'Italia
Reddito minimo garantito, parità di genere, innovazione tecnologica, lotta all’elusione fiscale delle multinazionali, emissioni inquinanti dimezzate entro il 2030: è il Green New Deal che vince in Europa e di cui in Italia nessuno parla. Per la prima volta nella loro storia, i Verdi sono il secondo partito in Germania e Finlandia, il terzo in Francia e Irlanda, esplodono in Olanda e, come quarto gruppo nel Parlamento Europeo, hanno una propria candidata, Ska Keller, alla presidenza della Commissione. Il loro programma innovativo, sostenuto dalle giovani generazioni, guarda al futuro invece che al passato. «Nel mondo globalizzato di oggi, nessun Paese è abbastanza grande per affrontare i problemi da solo», di questa verità, colpevolmente taciuta dai tanti ‘uomini forti’ del panorama politico mondiale, sono portatori i Verdi. Non si arroccano nelle torri in rovina di un nazionalismo vetusto, non rispolverano soluzioni fallite un secolo fa: da una parte abbracciano il nuovo mondo globale senza cedere al neoliberismo, peccato originale di molti partiti europei, dall’altra credono nello stato di diritto come baluardo contro l’autoritarismo, peccato originale di tanti partiti est-europei.
Nel mondo globalizzato di oggi, nessun Paese è abbastanza grande per affrontare i problemi da solo
La grande sorpresa delle Elezioni Europee che hanno segnato la maggiore affluenza dal 1979, con oltre 200 milioni di votanti, sono proprio gli ambientalisti, che hanno saputo ribaltare la stantìa retorica dei vecchi partiti e dell’estrema destra emergente, proponendo una visione nuova e fresca al Vecchio Continente. Verdi/ALE, nato nel 1999 dalla fusione dei Verdi con Libera Europa, è composto dal PVE e da una parte minoritaria di federalisti e autonomisti, e vanta alcuni personaggi carismatici come il trentenne Jesse Klaver, Sven Giegold, Yannick Jadot, la stessa Ska Skeller, Rebecca Brahms e Monica Frassoni.
Da sempre presenza forte nel Parlamento Europeo, a cui dobbiamo gran parte delle nostre leggi in difesa dell’ambiente, i Verdi trionfano grazie alla consapevolezza che i problemi ambientali sono legati alle ingiustizie economiche e sociali, una visione propria anche dei Fridays For Future, non a caso avversati proprio dalle forze più reazionarie del Vecchio Continente. Quanto i Verdi riusciranno a essere incisivi in UE è ancora tutto da vedere, ma il loro successo consegna alla sua legittima centralità il problema del cambiamento climatico e delle sue conseguenze.
Da anni il dibattito politico italiano non supera la dimensione locale, rendendo i risultati delle europee fluttuanti e i programmi ecologisti inesistenti
Perché in Italia questa nuova tendenza sia naufragata ben sotto la soglia di sbarramento è presto detto: la campagna elettorale si è giocata tutta su problemi interni e questioni fiscali che ben poco hanno a che fare con la politica continentale. I risultati dei partiti alle europee nel Belpaese sono da sempre fluttuanti e instabili proprio per questa impostazione più provinciale che nazionale. Nella campagna elettorale nostrana le problematiche ambientali non sono neanche entrate nel dibattito, figuriamoci nelle urne.
L’Italia, laboratorio privilegiato del populismo europeo, è stata il teatro di un vero scontro solo tra i due alleati di governo, Lega e Movimento Cinque Stelle, che con la solita tattica dell’underdog avversato dai potenti, si sono scambiati accuse reciproche, complice l’inconsistente e noiosa dialettica di Partito Democratico e opposizioni. Salvini ha sostanzialmente cannibalizzato la parte conservatrice del M5S privandolo anche al sud, sua roccaforte, di tantissimi voti. I Cinque Stelle non hanno saputo dimostrarsi credibili agli occhi di una parte dei propri elettori i quali, quando non sono passati alla Lega, li hanno semplicemente abbandonati preferendo restare a casa, probabilmente sui social a commentare i post degli avversari. La vittoria di Salvini è innegabile: la sua visione nazionale e poi europea, per quanto reazionaria, è stata un successo, ancor più sorprendente se commisurata alla dimensione locale della vecchia Lega Nord. Se questa vittoria potrà fruttare a livello europeo è un mistero: il polo sovranista di Salvini per ora si attesta al 7%, una possibile entrata di Fidesz di Orbàn, altro trionfatore delle elezioni, sembra poco probabile, e la crescita dei Liberali di ALDE, il gruppo più europeista dell’emiciclo, compensa e supera ampiamente quella dei sovranisti. Molti si chiedono, inoltre, se il governo legastellato sia prossimo a cadere: di sicuro Salvini ha trovato nell’alleanza con Di Maio una gallina dalle uova d’oro, il M5S invece l’abbraccio pericoloso di un politico esperto.