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Parliamo tutti di sesso, ma ne facciamo sempre meno

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Non siamo mai stati così liberi nel poter parlare di sesso senza vergognarci, sentirci giudicati per le nostre preferenze o comportamenti. In parte è il risultato della rivoluzione sessuale cominciata 60 anni fa e forse anche dei social media. Eppure, secondo i dati degli ultimi anni, di sesso ne facciamo sempre meno.C’è chi sostiene che tutta questa apertura, oltre ad aver sollevato consapevolezze rispetto alla sicurezza nei rapporti (dal punto di vista delle gravidanze e delle malattie sessualmente trasmissibili) e al consenso, ha anche fatto perdere quel senso di mistero e di proibito così importante per accendere il desiderio. Altri puntano il dito contro la pornografia, ormai ampiamente sdoganata, o i sex toys, che ci permettono di soddisfarci in maniera autonoma e creano attraverso narrazioni parziali o stimolazioni innaturali standard e aspettative spesso irrealizzabili nel rapporto con l’altro.

I dati americani e inglesi degli ultimi decenni

Secondo una ricerca pubblicata a novembre 2021 dal National Survey of Sexual Health and Behavior (NSSHB) che ha comparato risposte raccolte tra il 2009 e il 2018, adulti e adolescenti americani fanno molto meno sesso rispetto a 30 anni fa. Come vi avevamo già raccontato, negli ultimi dieci anni la percentuale di adolescenti che non hanno avuto esperienze sessuali è aumentata dal 28,8% al 44,2%. Anche tra le ragazze la percentuale è aumentata, dal 49,5 al 74%. Le persone coinvolte hanno dovuto rispondere a domande riguardanti la frequenza dei rapporti pene-vaginali e il repertorio sessuale (come l'ultima volta della masturbazione da solista, la masturbazione in coppia, il sesso orale), e lo studio ha evidenziato che, tra gli adolescenti, anche la masturbazione è in calo. I risultati sono molto simili a quelli condotti in Gran Bretagna dal National Surveys of Sexual Attitudes and Lifestyles (Natsal), che raccoglie informazioni sulle esperienze sessuali del pubblico da oltre tre decenni. Il numero di rapporti sessuali al mese è diminuito: nel 1991 si trattava di almeno 5, nel 2001 sono diventati 4 e, al 2012, si è scesi a 3 – i risultati dell’ultimo decennio sono purtroppo stati rimandati dalla pandemia, e saranno disponibili prossimamente. Anche in Germania sia per gli uomini che per le donne c’è stato un declino tra il 2005 e il 2016.

Secondo il report Censis-Bayer, in Italia 48,6% di coloro che hanno una vita sessuale attiva ritiene che il sesso che pratica è la giusta misura, il 48,0% vorrebbe fare più sesso e il 3,5% ne vorrebbe fare meno. Nel Regno Unito, secondo gli studi del Natsal, la maggior parte dei partecipanti che ha riferito di non aver fatto sesso nell'ultimo anno ha dichiarato di non essere insoddisfatta della propria vita sessuale. Per le coppie e il ruolo del sesso nel sostegno delle relazioni, ci sarebbero prove che è la qualità, non la quantità, che conta – tanto che il 25% degli uomini e delle donne che hanno una relazione ha riferito di non condividere lo stesso livello di interesse per il sesso del proprio partner. In definitiva, che importa se non ne facciamo? Quello che vediamo nei media, dice Soazig Clifton, direttore accademico di Natsal, è una falsa rappresentazione di ciò che dovrebbe essere normale in campo sessuale. «Invece di far star male le persone per la loro vita sessuale, capire le medie può aiutarci a sentirci più felici con quello che abbiamo, anche se sono tre volte al mese».

Cosa succede in Italia?

Secondo gli ultimi dati Censis-Bayer sui nuovi comportamenti sessuali degli italiani, aggiornati al 2019, i 15,5 milioni di italiani di età compresa tra 18 e 40 anni fanno abbastanza sesso nel quotidiano, ne sono soddisfatti e sperimentano una molteplicità di pratiche che affiancano o sostituiscono i rapporti completi. È vero, dicono i dati, che si è ampliata l’area di coloro che non fanno sesso (dal 5,4% al 10,2% dei 18-40enni, con un boom di maschi in bianco dal 3% all’11,6%), ma gli altri ne fanno più dei coetanei di venti anni fa, con il 44,1% che lo fa almeno tre volte alla settimana (contro il 36,9% di venti anni fa). L’83,5% dei 18-40enni italiani ha avuto esperienza di rapporti sessuali completi, il 6,3% ha avuto solo rapporti incompleti e il 10,2% non ha avuto rapporti sessuali. Tra chi ha avuto rapporti sessuali completi, l’8,4% ha una vita sessuale molto attiva (pratica sesso una volta al giorno), il 33,2% attiva, con rapporti sessuali due o tre volta alla settimana: il 41,6% pertanto ha una vita sessuale intensa. Poi il 27,7% fa sesso una volta alla settimana, il 21,2% meno di una volta alla settimana ma entro i tre o quattro mesi, e il 3,9% ha una vita sessuale rarefatta, cioè pratica sesso una volta ogni cinque, sei mesi o più. 

Ecco delineato per il Censis il “paradosso di più giovani senza sesso, con più sesso per chi lo fa”: una polarizzazione tra chi il sesso semplicemente non lo pratica e chi invece lo pratica addirittura con maggiore frequenza rispetto ai coetanei del passato. Questo potrebbe essere anche un segnale della maggiore libertà che stiamo acquisendo in ambito sessuale: chi desidera fare più frequentemente sesso può farlo, mentre chi non sente questa necessità può astenersi, subendo minori pressioni o giudizi. Al 2019, sono 1,6 milioni i 18-40enni che non hanno invece mai fatto sesso nella vita, 700mila non hanno una vita sessuale, mentre l’astinenza è capitata indifferentemente a maschi e femmine almeno una volta a 13 milioni con una durata media di 6 mesi. 1 milione di 18-40enni ha avuto rapporti sessuali solo non completi, e sono circa 220mila i 18-40enni in “coppie bianche”, con relazioni affettive stabili ma senza alcun rapporto sessuale. Inoltre, è letteralmente decollata la concezione del sesso legato al piacere, anche nelle coppie. Il nesso sesso e amore nei 18-40enni di venti anni fa era molto più stretto. Se a ritenere separabili sesso e amore erano 20 anni fa il 37,5% delle donne, oggi si tratta del 77,4%. Tra i maschi era il 61,9% e oggi l’81,8%.

Cos’è successo con la pandemia

Secondo una ricerca condotta dall’Università La Sapienza di Roma, in Italia i giovani durante il Covid hanno fatto meno sesso “reale” e più sesso virtuale, con una frequentazione aumentata dei siti porno e un utilizzo maggiore del sexting, le chat a sfondo sessuale. Chiara Simonelli, psicologa e sessuologa, docente di Clinica dello sviluppo sessuale a La Sapienza di Roma, ha spiegato che il fenomeno è dipeso dall’aumento di ansia e depressione, anche tra gli adolescenti, una conseguenza del Covid-19 già acclarata da numerose ricerche scientifiche.Un altro studio, realizzato dall'Istituto milanese Mario Negri, pubblicato a ottobre 2021 sul Journal of Epidemiology, ha mostrato che il 27% di più di 6mila soggetti in Italia ha diminuito l'attività sessuale durante i lockdown. Solo l'8% ha riferito di un incremento. «Se l’interruzione degli spostamenti e l’obbligo di distanziamento sociale hanno soprattutto limitato la vita sessuale dei single, la paura del contagio, i sentimenti generalizzati di ansia e di tristezza, la presenza dei bambini a casa sono tra i probabili fattori alla base di questo importante decremento nei partner conviventi», aveva commentato Andrea Amerio, ricercatore psichiatra dell’Università di Genova e primo autore dello studio.

Come mai facciamo meno sesso?

Secondo i ricercatori oggi non si può affermare con certezza quali siano i fattori alla base di questo calo dell’attività sessuale. Molti incolpano smartphone e social media, l’insicurezza economica e lo stress, la crescente insicurezza nelle relazioni, ma la realtà per molti è che siamo semplicemente troppo impegnati e abbiamo altre priorità. Secondo Tsung-chieh Fu, autrice della ricerca inglese del NSSHB, «nei più giovani potrebbe giocare un ruolo importante l'aumento nell'uso dei social network e dei videogiochi, attività che portano via tempo al sesso». La coordinatrice dello studio Debby Herbenick sostiene che un’altra causa scatenante potrebbe essere stato l’aumento del rough sex, il cosiddetto sesso duro, una pratica comune tra i giovani tra i 18 e i 29 anni, che include soffocamenti, strangolamenti, sculacciate. Spiega Herbenick: «Una persona potrebbe desiderare fare sesso, ma avere paura di essere coinvolta in pratiche indesiderate». 

E ancora, esiste il fenomeno delle cosiddette Never-Met Relations, relazioni che si consumano senza mai sentire la necessità fisica di incontrare il proprio partner. «Questo è un fenomeno che è assolutamente in crescita», aveva spiegato a VD la dottoressa Annalisa Battisti, psicologa che ha tra i suoi pazienti adolescenti che parlano di relazioni trascorse senza un incontro reale. «È chiaro che mettere a nudo la propria intimità ed esporsi in rete è molto più semplice. In adolescenza, poi, c’è bisogno di sperimentare e per chi vive ai margini o in periferia è più difficile, perché espone a un rischio sociale elevato. Il luogo più sicuro ora è la camera, con uno smartphone tra le mani». Secondo lo psicanalista Luigi Zoja, presidente dell’Associazione Internazionale di Psicologia Analitica e autore del saggio Einaudi Il declino del desiderio, in cui viene raccontata la vita erotica del Ventunesimo secolo, “Nei primi due decenni di questo secolo si sta verificando una tendenza opposta al secolo passato, addirittura più rapida rispetto all’ascesa. Il sesso in sé suscita ancora forte interesse, ma stanno aumentando quelli che vengono definiti i collaterali della sessualità, non la sessualità stessa”. E complice potrebbe essere anche la pornografia, che con i suoi standard spesso spaventa.

Le priorità sono cambiate. «Una generazione fa», spiega Zoja in un’intervista a Repubblica, «era la cosa quasi più importante potersi incontrare. Oggi, invece, ottenere sesso è facile e per di più si ha anche una possibilità di scelta: posso uscire con Matteo o Luca, oppure con Luisa e Giovanna. Nel libro, quindi, parlo di effetto iper-Buridano: non scegli più solo tra due, ma puoi scegliere se avere una soddisfazione eterosessuale, omosessuale o anche bisessuale, oltre che asessuale. Insomma, le opzioni continuano ad aumentare, ma la conseguenza, spesso, è quella di stare fermi senza scegliere». Un’altra teoria individua un collegamento con il cambiamento climatico, come sostiene Dominic Pettman in Ecologia erotica, di TLON Edizioni. Pettman mette in relazione la perdita della libido con l’emergenza ambientale, sostenendo che la storia dell’umanità (resa possibile dalla riproduzione) è legata alla storia del Pianeta, come dimostra anche la fusione dei concetti di Eros e Natura in antichità. La nostra libido, sia sul piano individuale che collettivo, ha un impatto sul mondo naturale, e viceversa. «Seppur in maniera diversa», scrive nel saggio, «siamo tutti consapevoli che le nostre pulsioni sessuali sono connesse all’economia. Dopotutto, la pubblicità gioca un ruolo importante nella produzione del desiderio, per poi indirizzarlo verso specifici prodotti, marchi, servizi o esperienze monetizzabili». Pettman fa, tra i tanti, l’esempio del bestseller Cinquanta sfumature di grigio, di cui furono prodotte molte più copie di quante sono effettivamente state vendute. Quelle da mandare al macero non erano però riciclabili, a causa della colla utilizzata per la rilegatura, facendone un disastro ecologico.

E, viceversa, la preoccupazione per un mondo che sembra andare a rotoli, dal punto di vista economico ed ecologico toglie sempre più spazio alle condizioni per la libido, che «non è un impulso cieco ma una capacità o facoltà vigile che abbiamo disimparato da tempo a usare e sperimentare». Tra i colpevoli della ridotta attività sessuale anche per il saggista c’è la tecnologia, che rendendo così disponibile a tutti la pornografia distrugge la libido, definita «una forza vitale indispensabile, una risorsa energetica che ci permette di stare in relazione tra noi e con l’ambiente». L’iperstimolazione virtuale secondo Pettman sta portando al picco della libido, un rimando al termine “picco del petrolio” che il geofisico statunitense Marion King Hubbert ha coniato per il momento in cui i combustibili fossili inizieranno a esaurirsi.

Che importa se non facciamo più sesso?

Secondo il report Censis-Bayer, in Italia 48,6% di coloro che hanno una vita sessuale attiva ritiene che il sesso che pratica è la giusta misura, il 48,0% vorrebbe fare più sesso e il 3,5% ne vorrebbe fare meno. Nel Regno Unito, secondo gli studi del Natsal, la maggior parte dei partecipanti che ha riferito di non aver fatto sesso nell'ultimo anno ha dichiarato di non essere insoddisfatta della propria vita sessuale. Per le coppie e il ruolo del sesso nel sostegno delle relazioni, ci sarebbero prove che è la qualità, non la quantità, che conta – tanto che il 25% degli uomini e delle donne che hanno una relazione ha riferito di non condividere lo stesso livello di interesse per il sesso del proprio partner. In definitiva, che importa se non ne facciamo? «Quello che vediamo nei media», dice Soazig Clifton, direttore accademico di Natsal, «è una falsa rappresentazione di ciò che dovrebbe essere normale in campo sessuale. Invece di far star male le persone per la loro vita sessuale, capire le medie può aiutarci a sentirci più felici con quello che abbiamo, anche se sono tre volte al mese».

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