disturbi mentali
«Parlo con Dio e col Diavolo». Storie di schizofrenia giovanile
Adam è un ragazzino introverso con il sogno di diventare chef. La sua vita, anche se segnata dall’abbandono del padre, scorre serena. Fino a che, durante una lezione di chimica, ha il suo primo episodio psicotico. È in quel momento che gli viene diagnosticata la schizofrenia, una malattia mentale cronica, invalidante, che colpisce il cervello. Adam comincia ad avere allucinazioni visive e uditive, a cui i dottori cercano di mettere fine facendogli assumere quantità industriali di antipsicotici. Nonostante sia classificato come ‘resistente alle cure’, Adam li prende per far contenta la madre, nella speranza di guarire. Comincia così Quello che tu non vedi di Thor Freudenthal, film tratto dall'omonimo romanzo di Julia Walton Words on Bathroom Walls, uscito lunedì 15 marzo su Amazon Prime Video. Un film che al classico teen drama abbina il tentativo audace - e solo in parte riuscito - di de-stigmatizzare la schizofrenia giovanile. Una malattia che in Italia colpisce circa 245mila persone. Esistenze che si trascinano alle periferie sociali, dove l’empatia che scopriamo di avere nei confronti di altre patologie si scontra con il muro della paura, che separa il mondo dei “sani” da quello dei “matti”.
Al liceo con la schizofrenia
«Tutta questa conversazione è un’allucinazione?»: a chiedermelo è Sara, 24 anni, malata di schizofrenia da quando di anni ne aveva solo 7. Le rispondo che io sono reale come reali sono le domande che le pongo. Si tranquillizza e comincia a raccontarmi la sua storia. «Nel corso della mia vita ho avuto tante allucinazioni visive e uditive. Ho parlato con il diavolo, la cosa più spaventosa che abbia mai visto. Era rosso, un rosso tetro, ma per fortuna non lo ricordo bene. Ho chiacchierato con Dio e ho creduto di essere all’inferno. Ho pensato che tutte le persone intorno a me fossero dei demoni e che volessero torturarmi. Ho anche creduto di essere Gesù». Poi sono arrivate le voci. «Mi dicevano di accoltellare la mia gatta e che tutti intorno complottavano contro di me per farmi del male». Sara è riuscita a diplomarsi nonostante la malattia. Ma gli anni del liceo sono stati tutt’altro che facili. «Gli altri studenti mi prendevano in giro, mi bullizzavano per via della schizofrenia. Mi hanno fatto sentire una poco di buono, perché dicevo cose a sfondo sessuale. Io non me ne rendevo neanche conto. Mi sentivo uno schifo. Ma i professori sono venuti a saperlo solo un anno dopo e non hanno potuto aiutarmi». La cura che Sara sta seguendo è quella classica, fatta soprattutto di antipsicotici. «Dalla psichiatra sono andata da sola, senza il supporto della mia famiglia. Voglio avere un futuro, voglio che il bene sia più potente del male e voglio rendere questo mondo, e non solo, un posto migliore».
Il burnout scolastico e la schizofrenia
Alessandra ha scoperto la schizofrenia a 15 anni, quando ha avuto il suo primo attacco psicotico durante le vacanze estive, tra la terza e la quarta superiore. «Era dovuto a un burnout scolastico, vale a dire a un eccessivo stress scolastico. Per un anno sono andata avanti con Abilify e Xanax. A scuola mi prendevano in giro, mi dicevano che facevo finta solo per impietosire i professori, anche se ero la prima della classe». Poi la convivenza con un ragazzo, tra cocaina e nessun controllo medico. «Sono stata ricoverata per psicosi e allucinazioni. In clinica psichiatrica sono rimasta sei mesi. Ho capito che la gente ha paura della schizofrenia. Gli ospedali psichiatrici sono il luogo in cui imprigionare gli scarti della società». Perché se la disintegrazione fisica può essere capita, quella mentale può solo essere allontanata.
Una malattia che fa paura
Deliri, allucinazioni visive, uditive e somatiche: con il suo carico di sofferenza, la schizofrenia rappresenta il disturbo psicotico più frequente. E l’esordio può avvenire anche a sei anni. «La diagnosi precoce è fondamentale per il decorso della malattia», sottolinea Massimo Di Giannantonio, professore e presidente della Società Italiana di Psichiatria. «Per parlare di schizofrenia, deliri e allucinazioni devono essere associati ad alterazioni del comportamento e avere una durata di circa sei mesi», spiega Isabella Masci, psichiatra. «A questo si aggiunge il ritiro sociale e la perdita di interesse nelle attività che prima davano piacere. Soprattutto negli adolescenti, la chiusura può rappresentare un sintomo della schizofrenia». Le terapie utilizzate a oggi sono a base di antipsicotici, che possono restituire una vita tranquilla. «È importante che chi ha questa malattia riconosca di avere un problema. Ma è una malattia che fa paura, perché la si conosce poco. Si pensa che sia una condanna, una croce da portare per sempre. Ma non è così». Spesso, però, la malattia mentale è associata alla pericolosità. E mentre un malato di cancro suscita premura ed emozioni di compassione, la persona schizofrenica viene classificata come “matta” o “stravagante”, a causa del suo comportamento bizzarro. Tanto che viene addirittura colpevolizzata. Ma la malattia mentale richiede grandi capacità di ascolto. «Tendiamo a credere che il malato non possa stare all’interno dell’assetto sociale, perché non è controllabile e fa fatica a rispettare le regole. È un retaggio che ci viene dai manicomi. Ma è solo un pregiudizio».
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