politica
La statalizzazione delle Autostrade è uno spot elettorale
Quando c’era Lui (lo Stato) si stava meglio. Sembrerebbe questo il bias più radicato nelle menti dei cittadini, abituati a credere ciecamente in uno stato paternalista e onnipresente. Peccato, però, che la gestione statale nostrana degli anni '80 non fosse stata delle migliori e che le concessioni fatte ai privati negli anni '90, una farsa tutta italiana.
Le liberalizzazioni all’italiana
La tragedia del Ponte Morandi ha svelato due problemi atavici del nostro sistema nazionale: le privatizzazioni farlocche dei Novanta e l’incapacità italiana di aggiornare in tempi brevi le infrastrutture (nel caso di Genova con il percorso della Gronda). In Italia, infatti, non ci sono mai state “le liberalizzazioni” di cui spesso si parla a sproposito: la gestione delle autostrade non è stata oggetto di una vera e propria gara internazionale ma di un'assegnazione dal sapore clientelare. La stessa Corte dei Conti, nel 2010, ha pubblicato uno studio su tutte le privatizzazioni avvenute nei ‘90 sottolineandone la poca trasparenza, la mancanza di competizione e il successivo innalzamento delle tariffe sproporzionato rispetto agli investimenti. La ricostruzione del Ponte Morandi avrebbe potuto essere l’occasione per affrontare il problema, mettere in discussione la spartizione delle nostre risorse autostradali tra due grandi gruppi, senza alcuno spazio di libera concorrenza, e introdurre una maggiore trasparenza negli accordi, invece è diventata solo l’ennesima occasione, per la politica, di cavalcare il dolore e le emozioni del popolo e tirare l’acqua del consenso al suo mulino elettorale.
Anche i ponti di Stato crollano
Il ritorno dello Stato italiano (fate attenzione a questo aggettivo) nella gestione delle autostrade non è una buona notizia. Non parliamo per principio, non ci stiamo pronunciando contro qualsiasi amministrazione statale di una infrastruttura, ma del caso specifico: l’Italia non gestiva bene le sue aziende pubbliche già molti anni prima che queste diventassero carrozzoni clientelari in costante perdita. Come ha spiegato l’esperto di economia dei trasporti Andrea Guercin, il Pubblico investiva molto meno per km rispetto ai privati, e ancora oggi la lunga serie di ponti e cavalcavia caduti o pericolanti nelle mani di ANAS non fa ben sperare. Pensiamo ai crolli sul fiume Magra, sulla Milano-Lecco o sulla Palermo-Catania, che sono solo alcuni dei più recenti.
Cosa abbiamo ottenuto da tutto questo?
Un gigantesco spot elettorale. Di Maio ha scritto su Twitter che il suo unico obiettivo era mandare via i Benetton dalla gestione delle autostrade. Ma se il colpevole del crollo del Morandi è Atlantia (tralasciando il fatto che né il regolatore né il potere giudiziario si sono ancora espressi in merito), non è chiaro perché siano accusati solo i Benetton che ne detengono il 33%. E il resto del CDA? Eppure Atlantia è ancora lì e lo Stato, comprando con soldi pubblici le quote di ASPI, è socio sia di Atlantia che della famiglia Benetton. Al netto delle aspirazioni del Ministro Di Maio, noi avremmo voluto molto di più: avremmo voluto aprire una discussione sul sistema economico italiano, sempre incompiuto come le sue grandi opere, sempre zoppo e sempre clientelare. Avremmo voluto vedere, stavolta, una vera concorrenza tra fondi internazionali e non il solito "paga Pantalone", avremmo desiderato parlare degli investimenti a cui ASPI è tenuta e dei continui ostacoli che la politica locale pone ai grandi piani infrastrutturali nazionali, facendoli invecchiare e naufragare. Invece torneremo ai tempi d’oro degli anni ‘80, che tanto rimpiangiamo guardando Stranger Things, ma senza Sottosopra o Demogorgone, solo un altro carrozzone statalista guidato dai nominati dei potenti di turno.
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