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Costrette a sposare lo stupratore. Il matrimonio riparatore esiste ancora in 20 paesi
Sono ancora 20 le nazioni, nel mondo, che permettono il cosiddetto matrimonio riparatore, ovvero la possibilità, per gli stupratori, di evitare la condanna sposando le proprie vittime. Una pratica che in Italia fu messa in crisi dal famoso “no” di Franca Viola nel 1965 ma che venne abrogata soltanto nel 1981. Ora, l’ultimo report dell’UN Population Fund (UNFPA), My body is my own, ci ricorda che certe conquiste sono tutt’altro che universali.
Il matrimonio riparatore e la crisi della body autonomy
Il report di UNFPA analizza la capacità delle donne di decidere sul proprio corpo per quanto riguarda il sesso e la riproduzione. La situazione che emerge è piena di luci e ombre. Seppure, dal 1997, l’uso dei contraccettivi è raddoppiato, ancora 217 milioni di donne non hanno accesso al birth control. Il numero delle ragazze sottoposte a mutilazioni genitali è diminuito, ma si aggira sempre attorno ai 4 milioni ogni anno, così come quello delle spose bambine, che però sono sempre più di 12 milioni all'anno. In generale, il report ha stabilito tre indicatori per definire la body autonomy femminile nel mondo: contraccezione, salute e sesso. Il risultato è che solo il 55% delle donne nel mondo ha davvero controllo su questi indicatori, quasi tutte cittadine di paesi occidentali. Dall’altro lato ci sono paesi come Mali, Niger e Senegal, dove più del 90% delle donne sono private totalmente della loro body autonomy. Il quadro che emerge è, quindi, drammaticamente contraddittorio e ancora lontano dagli obiettivi prefissati per il 2030 dallo stesso UNFPA per l’autodeterminazione femminile. Una delle ombre più profonde è data dal matrimonio riparatore, presente ancora in 20 nazioni nel mondo. La dott. Natalia Kanem, direttrice esecutiva dell’UN Population Fund, che ha pubblicato il report, ha definito le leggi di questi paesi “un mezzo per sottomettere le donne”.
I paesi dove resiste il matrimonio riparatore
- Algeria
- Angola
- Bahrain
- Bolivia
- Cameroon
- Eritrea
- Gaza
- Guinea Equatoriale
- Iraq
- Kuwait
- Libia
- Filippine
- Repubblica Domenicana
- Russia
- Serbia
- Siria
- Tajikistan
- Thailandia
- Tonga
- Venezuela
La situazione legale varia di paese in paese. In Iraq lo stupratore può evitare qualsiasi accusa o sentenza nei suoi confronti ma può essere riattivata se c’è un divorzio entro i primi tre anni. In Kuwait non basta il matrimonio, è necessario che il guardiano della donna (il maschio adulto che ha in carico la tutela legale della donna) richieda l’annullamento dell’accusa nei confronti dello stupratore. In Russia e in Thailandia il matrimonio riparatore funziona solo se il colpevole ha 18 anni e ha fatto sesso con un minore di 16 anni. Ma il risultato, ovunque, è la sostanziale negazione del diritto delle donne a decidere della propria vita e del proprio corpo. «È una violazione dei diritti fondamentali di donne e ragazze che rinforza le diseguaglianze e perpetua le violenze legate alle discriminazioni di genere» ha affermato la dott. Kanem.
Il matrimonio riparatore in Italia, una storia non così lontana
Solo quarant’anni dividono l’Italia di oggi, che parla di smart working e connessione iperveloce, da quella del 1981 quando, finalmente, l’articolo 544 fu abrogato. C’erano voluti vent’anni di discussioni da quando Franca Viola aveva negato il suo consenso al matrimonio riparatore diventando la donna più famosa d’Italia. Il 26 dicembre del 1965 Filippo Melodia e dodici amici irruppero a casa Viola. Franca fu rapita, violentata, picchiata e segregata per otto giorno mentre i parenti di Melodia contattavano Bernardo Viola per la “paciata”, un incontro per accordarsi sul matrimonio. I Viola finsero di accettare e, d’accordo con la polizia, tesero un’imboscata a Melodia che fu arrestato. L’anno prima era uscito, al cinema, Sedotta e Abbandonata di Pietro Germi che accennava proprio a questo tipo di costume. Una norma patriarcale che risaliva addirittura alla Bibbia, più precisamente al Deuteronomio: «L'uomo che è giaciuto con lei darà al padre di lei cinquanta sicli d'argento; ella sarà sua moglie, per il fatto che egli l'ha disonorata, e non potrà ripudiarla per tutto il tempo della sua vita». Ma né Franca né la sua famiglia si piegarono a questa norma ignobile: «Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto» disse alla polizia. «L’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce». Negli anni seguenti molte altre ragazze, ispirate da Franca, rifiutarono di sottostare al matrimonio riparatore finché, nel 1981, la legge 442 lo abolì definitivamente. Solo quarant’anni fa, eppure ancora meno ci separa dal 1994, l’anno in cui finalmente l’Italia trasformò lo stupro da reato contro la morale a reato contro la persona. Una reliquia dell’origine fascista del codice Rocco che affermava di fatto che lo stupro non offendeva il corpo della donna ma andava a ledere una generica pubblica moralità. Solo 27 anni fa, Schindler’s List vinceva l’Oscar, Kurt Cobain si suicidava e l’Italia riconosceva che la donna, e non la morale, era la vittima dello stupro.
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