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La Sicilia ferma nel tempo di Francesco Faraci

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Il fotografo documentarista e scrittore Francesco Faraci racconta così, tra le pagine del suo libro Anima nomade, da Pasolini alla fotografia povera, pubblicato per Mimesis nel 2022, il proprio rapporto con la fotografia e con la sua Sicilia.

«Il sangue di Palermo, nella mia vagabonda esperienza, è ancora vivo e pulsa, nel reticolo venoso di quelle labirintiche vie, la vera anima di una città che progressivamente, in certe parti, ha svenduto la propria identità in nome del capitalismo, del turismo di massa. Sono loro, i luoghi che amiamo, a far vibrare le corde dell’anima, a commuoverci anche. Sono quelli che, lasciandosi raccontare, ci raccontano di noi, delle nostre miserie».

Nato a Palermo nel 1983, Faraci fotografa soprattutto la città in cui è nato, cresciuto e si è formato, a cui ha dedicato diversi progetti, da Malacarne ad Atlante Umano Siciliano, che ci svelano i sobborghi e le persone segnate da una storia che si intreccia inevitabilmente con la memoria delle vittime della criminalità organizzata e un presente che nei fatti non è cambiato.

«Palermo, maternale e filiale.Palermo sfuggente, ché non appena sembra di aver afferrato un concetto, questo scappa dalla mani, viscido come un serpente, e di nuovo si inabissa, lasciando un senso sospeso, che è un invito al viaggio e alla ricerca. I quartieri di Palermo, piccole repubbliche indipendenti, con le proprie regole spesso non scritte, ognuna delle quali definita attraverso un peculiare modo di dire le cose, un proprio codice e un proprio linguaggio, un dialetto al veleno che, di zona in zona, assume forme e sostanze diverse, piene di dittonghi, parole mangiare, vocali sperdute. E ancora, memorie di lenzuola bianche sporche di sangue, di preti buoni barbaramente uccisi, di uomini e donne sciolti nell’acido».

Ti sei avvicinato relativamente "tardi" alla fotografia. Come pensi abbia influito questo sul tuo sguardo?

Sono arrivato alla fotografia alla soglia dei trent’anni. Avevo alle spalle un bagaglio di studi, di esperienze anche dolorose che avevano già cambiato il mio sguardo sulle cose del mondo. La fotografia mi ha dato la possibilità di liberarlo, di evolverlo. Il fatto di essere arrivato “tardi” e senza troppe aspettative mi ha dato il permesso di essere libero, di non badare alle mode, alle “cose che vanno”, ma credo di aver sviluppato nel tempo un modo di esprimermi che fosse mio e nel quale riconoscermi. Fa tutto parte di un processo di crescita, credo, e a volte la vita riesce a stupirti di quante e quali cose sia capace di far accadere.

Foto di Francesco Faraci
Foto di Francesco Faraci
Hai iniziato a guardare la Sicilia in modo diverso?

Sì, in maniera netta. Anche questo però è parte di un processo credo di consapevolezza. Odiavo Palermo e la Sicilia, mi stavano strette. Le vedevo proprio come una gabbia. Da quando ho scoperto la fotografia, da quando in realtà ho cominciato a camminare in lungo e in largo per le sue strade ho sentito la strana sensazione di vederle per la prima volta. Una specie di rinascita, insomma.

Foto di Francesco Faraci
Foto di Francesco Faraci
Per raccontare una regione complessa come la Sicilia, e in particolare una città come Palermo, bastano le immagini?

Più che palermitano o siciliano, mi sono sempre visto Mediterraneo. È quella la parola che per me racchiude il senso del mio essere nato in un’isola. Parliamo allora di qualcosa di fisico ma anche e forse soprattutto della creazione di un immaginario, che quello di crearne uno è il compito dei fotografi, degli scrittori e anche dei musicisti, se davvero ne hanno uno. In questo senso no, le immagini non bastano. In un percorso di evoluzione mischiare i diversi linguaggi e trovarne il punto di equilibrio, farli convivere, è la sfida del futuro. La fotografia non basta a sé stessa. Se non è accompagnata dal racconto dell’esperienza umana si ferma alla sola estetica e lei, da sola, non può stare in piedi.

Foto di Francesco Faraci
Foto di Francesco Faraci
Da dove nasce l'esigenza di scrivere un libro?

Nasce dalla voglia di creare qualcosa che si spera rimanga, ma anche dal bisogno di chiarire e fissare determinati punti. Non si fanno fotografie (nel mio caso) senza ragionare sulle motivazioni che spingono ogni giorno a ricercarle, con tutte le istanze che si porta dietro. Non volevo, né avrei potuto, scrivere una autobiografia, non ho l’età giusta per farlo, ma scrivere della mia esperienza, raccontare o tentare di farlo, ciò che le influenza e permette al fuoco che ho dentro di bruciare sempre, quello potevo farlo. I libri sono un punto d’arrivo, ma anche e soprattutto un punto di partenza. Da lì si parte per nuovi orizzonti.

Sembra che il tempo nelle tue foto sia sospeso: quanto è cambiata la realtà negli ultimi trent’anni?

È proprio perché le cose cambiano a un ritmo vertiginoso che nelle mie fotografie sempre di più ricerco quell’attimo in cui il tempo si sospende e si crea una specie di vuoto. Un vuoto che però non è fine a se stesso, non è “brutto” ma da riempire. Credo che la fotografia parta da un elemento che è reale, ma che poi si trasfiguri fino a dialogare con l’inconscio, con qualcosa di sconosciuto e che per questo diventi la lingua dei sogni. Eppure, nonostante tutto, sembra che ci siano realtà che rimangono immutate, ma non è che apparenza. Sono solo più lente.

Foto di Francesco Faraci
Foto di Francesco Faraci
Quest'anno cadono dei trentennali che hanno segnato la storia d'Italia. Come li sta vivendo Palermo?

Li vive senz’altro con trepidazione. Ci sono tantissime iniziative in programma ed è un bene, soprattutto per le nuove generazioni, per perpetuare la memoria. Dico però una cosa che è forse impopolare, ma ho l’impressione che nel tempo le commemorazioni abbiano perso di senso, si siano trasformate in una specie di circo. Non dubito che il sentimento sia genuino, ma la spettacolarizzazione, così come la strumentalizzazione della politica, ha ridotto le figure di Falcone e Borsellino a meri santini, quasi sminuendo la portata reale del loro impatto sulla società.

Foto di Francesco Faraci
Foto di Francesco Faraci
Nelle storie delle persone e dei ragazzi che fotografi quanto questo retaggio è ancora vivo?

Bisogna ancora lottare tanto perché il retaggio sparisca dalla visione di certe persone, così come in quella dei ragazzi. Serve un intervento dal basso, strutturato e continuativo perché una certa mentalità di estingua. È ancora presente, purtroppo, inutile nasconderlo. Lentamente però le nuove generazioni stanno prendendo consapevolezza e si intravede, quindi, una speranza.

Foto di Francesco Faraci
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Come descriveresti Palermo – e la Sicilia – in poche parole – e in una singola immagine da te scattata?

Questa è impossibile.

Foto di Francesco Faraci
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