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Perché Harry Potter ci ha reso chi siamo oggi

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Vent’anni di Harry Potter, non so voi, ma pensarci mi fa sentire così vecchia che potrebbe essere una vita fa. Avevo 7 anni quando venne pubblicato in Inghilterra il primo romanzo di J.K. Rowling: era il 1997 e nessuno avrebbe mai potuto immaginare che si rivelasse un tale successo. “Harry Potter e la pietra filosofale” arrivò sotto forma di libro tradotto in Italia l’anno successivo, mentre nel 2001, quando ancora non esistevano le fotocamere digitali e il cellulare più diffuso era il Nokia 3330, fu lanciato il primo film, che contribuì alla creazione di un vero e proprio fenomeno che ancora oggi continua a entusiasmare e a spingere i bambini a disegnarsi una cicatrice in fronte indossando degli occhiali tondi e a impugnare una bacchetta ad Halloween, gridando Avada Kedavra o Expecto Patronum.

Chi ha letto i libri per le scelte registiche si è spesso infiammato, non comprendendole, considerando il risultato non all’altezza dei romanzi, troppo sintetico e semplicistico, prendendosela con il casting e con le modifiche alla trama. Avendo divorato tutti i volumi – dal terzo episodio in poi qualche volta ho anche aspettato l’uscita davanti alle librerie – anche a me è capitato di storcere il naso, ma molti dei ragazzi e dei bambini che oggi si avvicinano a questa raccolta l’ha conosciuta attraverso il filtro cinematografico – anche grazie alle numerose volte in cui i film sono stati regolarmente rimandati in onda. Martedì 16 novembre il primo capitolo sarà trasmesso su Sky Cinema Family e dal 9 al 12 dicembre tornerà addirittura nelle sale.

Le conquiste di Harry Potter

Alla saga di Harry Potter, a cui sono particolarmente affezionata, forse perché in concomitanza con le uscite cinematografiche e poi dei libri mi ritrovavo ad avere sempre più o meno l’età dei protagonisti ed era un ottimo modo per evadere dalla realtà di cittadina piemontese in cui stavo crescendo, va riconosciuto il merito di aver avvicinato milioni di bambini e ragazzi in tutto il mondo alla lettura (è stata tradotta in 80 lingue, latino e greco antico compresi). Forse anche quello di averli resi più tolleranti e aperti al diverso, nonostante in tempi più recenti la Rowling sia stata abbondantemente criticata per le sue opinioni e lo spazio scarso, se non inesistente, dato alle minoranze; di aver dato maggiore dignità alla letteratura per l’infanzia e, senz’altro, in generale, di aver ravvivato il settore culturale, pur sgombrando il campo a storie di dubbia qualità basate su altre creature dai poteri soprannaturali.

Tolta la mancanza di cellulari, computer e altri dispositivi tecnologici che comunque non farebbero differenza tra i maghi che non ne hanno bisogno, perché si spostano usando i camini e conversano tramite quadri animati, la storia è perfettamente attualizzabile ai giorni nostri, e non serve lamentare la mancanza di temi quali multietnicità o argomenti LGBTQI+ (né riparare con successivi aggiustamenti come ha fatto Rowling) visto che sul finire degli anni Novanta la sensibilità dell’opinione pubblica non era ancora così spiccata; va piuttosto riconosciuta la centralità, insieme a temi come l’amicizia, l’amore, la ribellione adolescenziale, il confronto con la perdita, di argomenti come il ruolo del potere politico e le strumentalizzazioni dei media, e soprattutto della discriminazione razziale, che vede i maghi purosangue schierati con il lato oscuro accanirsi contro i mezzosangue o i nati babbani, più volte accennato nei primi libri e abbondantemente sviluppato nei successivi, fino a diventare un tema portante negli ultimi, con l’ascesa di Voldemort.

Com’è nato il mito di Harry Potter

La cronologia è molto importante, per quanto, come ha raccontato J.K. Rowling stessa, la trama e la direzione dei 7 libri fossero già state da lei definite a partire dal 1990 prima di cominciare la stesura del libro uno, con un lavoro di 5 anni per sviluppare l’intreccio nei minimi dettagli intervallato da vicende personali, compreso il lutto della madre, complice nel rendere primario il tema della morte nelle vicende del protagonista e di chi lo circonda. È il 1995 quando l’autrice termina il manoscritto di “Harry Potter and the Philosopher’s Stone” e si misura con i primi tentativi di venderlo, falliti, finché sarà la casa editrice inglese Bloomsbury ad acquistarne i diritti, un anno dopo, per poi dare il primo volume alle stampe nel 1997, portato in Italia l’anno successivo da Salani, senza che né Rowling né l’editore potessero aspettarsi una ricezione così entusiasta e un successo esponenziale.

La qualità di J.K. Rowling non sta nel suo stile o in una prosa particolarmente mirabile, per quanto estremamente scorrevole, ma nella sua coerenza e nella maniacalità per il dettaglio, attraverso cui sviluppa un racconto in cui quasi niente di quello che succede è casuale o è come sembra a prima vista, comprese tutte quelle morti che a volte riesce difficile sopportare, a noi come al protagonista, ma che trovano sempre un senso e vengono ricomprese alla fine come un sacrificio necessario. Rowling, soprattutto nei primi libri, costruisce il variegato mondo di Harry Potter con uno stile semplice e brillante, a tratti spiritoso, la cui complessità cresce di libro in libro con i personaggi (ogni volume corrisponde a un anno di scuola, dagli 11 anni alla maggiore età, che arriva per i maghi a 17, e tratta a mano a mano temi più complessi e più vicini al mondo degli adulti) ma anche per i lettori, a cui è consigliata la lettura a partire dagli 8 anni.

Non dimentichiamo che Harry Potter è un libro che nasce pensato per bambini, in particolare per la figlia che l’autrice ha cresciuto per diverso tempo come madre single. Il climax stilistico che segue le età e le esperienze dei personaggi che si fanno adolescenti e posti sempre di fronte a nuove sfide, corrisponde all’infittirsi della trama e delle pagine, che aumentano quasi sempre in modo progressivo, per un totale (stando alla numerazione della prima edizione italiana) di circa 4.300 pagine. Durante il primo lockdown del 2020 ho avuto la fortuna di trovarmi bloccata a casa dei miei genitori: rileggere a quasi trent’anni quest’opera in più volumi è stato non solo l’occasione per un tuffo nel passato, ma un piacere per l’immaginazione. La scrittura di Rowling è estremamente descrittiva, visiva e sensoriale, perché deve trasportare il lettore dotato di più o meno immaginazione all’interno di un mondo che per certi versi ricorda molto il nostro, ma per altri lo travalica.

Il realismo dell’universo fantastico creato da Rowling

Al suo successo trasversale hanno contribuito altri due ingredienti fondamentali, che vanno al di là del genere fantastico e della storia che vede, semplificando al massimo del manicheismo su cui si fonda l’impianto, il bene lottare contro il male fino alla definitiva vittoria: la trama ben sviluppata è arricchita e sostenuta da descrizioni e dettagli precisissimi che dipingono un universo estremamente realistico nel suo essere soprannaturale, in una continua opera di architettura e insieme di design.

Il mondo magico ha i suoi codici, fatti di incantesimi elaborati a partire dal vocabolario latino e ingredienti per pozioni dalle quantità estremamente precise, di animali fantastici rubati alla mitologia e alle leggende e descritti con minuzia nelle loro fattezze e comportamenti (e a cui successivamente verrà dedicata un’opera intera); di bacchette magiche di lunghezze e materiali diversi che hanno la facoltà di scegliere il mago, di oggetti oscuri che possono essere trovati e distrutti solo in modi specifici; di sport magici in cui i giocatori e gli strumenti utilizzati hanno nomi d’invenzione, di piatti e gli snack caratteristici, fino a un intero sistema monetario fatto di galeoni, falci e zellini, per cui ogni prodotto in vendita nel mondo magico ha un costo definito e alla cui custodia è adibita una banca magica di massima sicurezza, la Gringott, a sorvegliare la quale ci sono a loro volta creature e incantesimi ad hoc.

Un mondo in cui ritrovarsi e riconoscersi

Se citare tra lettori permette di riconoscersi, creando un vero e proprio codice che ha trovato applicazione anche nel mondo reale e addirittura nella discussione politica nazionale o internazionale, offrendo un termine di paragone riconosciuto in tutto il mondo, può nel caso di parole come “Tassorosso” segnare anche una divisione tra nati in Italia negli anni Novanta e decade successiva. La citabilità di Harry Potter, lontana da quella di un’élite acculturata che recupera la letteratura in senso esclusivo, è figlia del suo successo e dimostra quanto l’opera di Rowling incarni il pop per eccellenza, offrendo riferimenti così caratteristici eppure orizzontalmente diffusi che permettano di farci sentire parte di qualcosa ogni volta che cogliamo quella citazione o che una nostra citazione viene colta. Se questo è merito della sua diffusione, la diffusione è a sua volta merito del linguaggio scelto. Rowling stessa cita, prendendo molte delle creature che mette in scena dalla mitologia greca o da quella celtica, come centauri, unicorni, o la fenice Fanny, oppure recuperando rituali e magie da credenze del passato e dal mondo alchemico, dalla pietra filosofale che dà il titolo al primo volume al tributo di sangue di Harry che Voldemort utilizza per risorgere nel quarto.

Qualche riempitivo per intrattenere il lettore, e allentare la tensione tra un mistero e un colpo di scena non può mancare, ma le parole pronunciate nel mondo magico sono sempre importanti, sia che si tratti di una profezia o delle frasi di Albus Silente, spesso più simili a slogan ricchi di mistero o portatori di insegnamenti dal punto di vista etico. «La verità è una cosa meravigliosa e terribile, e per questo va trattata con grande cautela,» dice Silente nel primo volume, rimandando alcuni chiarimenti al futuro. «Sono le scelte che facciamo, Harry, che dimostrano quel che siamo veramente, molto più delle nostre capacità,» gli insegna nel secondo. «Siamo forti solo se siamo uniti, e deboli quanto divisi,» ammonisce durante il banchetto conclusivo del quarto anno in sala grande, annunciando agli studenti il ritorno di Voldemort a cui molti non crederanno, per volere del Ministero, che punta a mantenere l’ordine costituito. Tre anni dopo in quella stessa sala si consumerà il duello finale, dopo il sacrificio di molti, uniti per permettere a Harry di affrontare Voldemort. E proprio il dispensatore di saggezza per eccellenza, visto da Harry e dal lettore come un compasso morale e un mago infallibile, il personaggio preferito della stessa autrice oltre al protagonista, nel finale riconoscerà i propri errori, seppur commessi in buona fede, rivelando per l’ennesima volta che le apparenze possono ingannare e confermando l’importanza delle scelte e la possibilità, o forse l’inevitabilità del cambiamento.

Il Signore degli Anelli secondo J. R. R. Tolkien

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