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«Non mangiare più carne potrebbe salvare il pianeta», dice uno studio
Che l’agricoltura per l’allevamento animale contribuisca in modo significativo al riscaldamento globale, non è una novità. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista “PLOS Climate”, però, la chiusura delle attività di produzione della carne non solo impatterebbe sulla crisi climatica, ma potrebbe addirittura contribuire a salvare il pianeta. Basti pensare che l’allevamento dei bovini è responsabile da solo di circa il 18% delle emissioni di gas serra globali, percentuale che sale notevolmente se si aggiungono anche gli allevamenti di maiali, polli e pesci. Insomma, un mondo senza carne non è solo immaginabile ma, forse, è addirittura necessario.
Lo studio e l’inquinamento da carne
«La sospensione delle attività di allevamento dovrebbe costituire una priorità per i prossimi anni»: questa è la tesi sostenuta dagli autori della ricerca, Micheal Eisen, dell'Howard Hughes Medical Institute (UCLA) e Patrick Brown, emerito del dipartimento di Biochimica di Stanford e CEO di Impossible Foods Inc., azienda specializzata nella produzione e nella vendita di prodotti a base vegetale pensati per sostituire la carne. Lo studio è stato pubblicato su una rivista peer reviewed dalla comunità scientifica. Partendo dai dati pubblici sulla produzione di bestiame nel 2019, le emissioni legate al bestiame e il potenziale di recupero della biomassa sui terreni attuali utilizzati per sostenerlo, l’eliminazione della agricoltura per la produzione di carne potrebbe ridurre del 68% le emissioni di anidride carbonica entro la fine del secolo.
«Sebbene i prodotti animali forniscano al momento, secondo i dati più recenti della FAO, il 18% delle calorie, il 40% delle proteine e il 45% dei grassi nell’alimentazione umana, la fine dell’agricoltura animale stabilizzerebbe i gas serra», si legge nello studio. «Le colture esistenti potrebbero sostituire le proteine e i grassi della carne animale, con un impatto ridotto su terra, acqua, gas serra e biodiversità». Ma se si procederà “business as usual”, è probabile che la domanda di carne aumenti del 70% entro il 2050.
Secondo gli autori, infatti, «le diete vegetali equilibrate dal punto di vista nutrizionale sono comuni, sane e diverse, ma sono raramente considerate nelle strategie globali per mitigare il cambiamento climatico». Per alcuni, infatti, le produzioni di quinoa e soia, alimenti che potrebbero sostituire la carne in diete vegetariane e vegane, non rispetterebbero l’ambiente, né i fragili sistemi economici in cui vengono prodotte. Eppure, un decremento nelle emissioni di gas serra dovrebbe fare gola a tutti.
Il consumo di carne tra sfruttamento e alternative
In Europa e nel Regno Unito la carne non è solo una questione climatica. È anche un problema di diritti. Lo scorso settembre, un’inchiesta del The Guardian ha svelato come numerose aziende abbiano assunto migliaia di lavoratori tramite agenzie e cooperative fasulle, sottoponendoli a retribuzioni inferiori rispetto al personale che lavora nelle stesse fabbriche. A questo si aggiungono falso status di lavoratore autonomo e nessuna indennità di malattia. Spesso, sono gli stranieri a essere assunti secondo queste modalità. Guardare oltre la carne, quindi, è anche una questione sociale.
Ma in un Paese come l’Italia, in cui il consumo di carne pro capite annuale è tra i 76 e i 79 chili, quali alternative possono essere possibili? Una strada percorribile è rappresentata dall’entomofagia: se per circa 2 miliardi di persone nel mondo mangiare insetti è normale, perché non dovrebbe esserlo anche per noi?
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