violenza di genere
Cos'è il cyberflashing, quando la molestia sessuale arriva da vicino
Una notifica sullo smartphone mentre si è in autobus. «Qualcuno» – si legge sullo schermo - «vuole inviare una foto». Non c’è nessuna anteprima. Allora si accetta, incuriositi. E spesso ci si ritrova davanti a vere e proprie molestie sessuali. Foto di genitali maschili che lasciano interdetti e preoccupano, quando ci si rende conto che l’anonimo mittente è a pochi metri. Il problema dell’invio di una foto esplicita non richiesta è passato da poco tra le mani dei giudici. In Italia, secondo una sentenza della Cassazione, ai fini dell’integrazione del reato di violenza sessuale «non è dirimente la mancanza di contatto fisico tra autore e vittima» e questo può quindi essere commesso anche attraverso l’utilizzo esclusivo di uno smartphone. La sentenza della Cassazione, però, non è legge. Può orientare il parere di altri giudici in casi simili di molestia sessuale o violenza, ma non rappresenta un vincolo.
In Inghilterra si sta invece discutendo di una modifica alla legge sui reati sessuali, che includa anche il reato di cyberflashing. Nello specifico viene definito cyberflashing l’invio di foto esplicite non richieste attraverso dispositivi di condivisione di file (come AirDrop, sugli IPhone). Si tratta soprattutto delle classiche dick pics inviate sugli smartphone di donne, molto spesso da distanza ravvicinata (la tecnologia Air Drop si attiva infatti con il Bluetooth, e quindi quando la vittima è a pochi metri dall’anonimo mittente). Il professor Penney Lewis, commissario per il diritto penale nel Regno Unito, ha dichiarato: «Gli abusi online possono causare danni incalcolabili a coloro che sono presi di mira ed è necessario un cambiamento per garantire che stiamo proteggendo le vittime da abusi come cyberflashing e molestie accumulate».
I racconti delle donne che ricevono foto non richieste
Miriam ha avuto un’esperienza angosciante: «Al di là della mia storia», ci tiene a specificare subito, «trovo che questo sia un fenomeno molto brutto, soprattutto quando si tratta di ragazzi giovani. Nel mio caso questa persona, che conoscevo, dopo essere stata bloccata ha cambiato nome per trovarmi di nuovo e insistere». Miriam spiega a VD che a un certo punto, dopo una prima fase di scoperta reciproca, sommaria e piacevole, il suo conoscente cominciò a chiederle delle foto, mandando al tempo stesso istantanee di parti intime «delle quali avrei fatto volentieri a meno. Credo sia una pratica da depravati, perché può distruggere rapporti che magari cominciavano a costruirsi. Soprattutto, ci si può sentire ricattati se la persona sa chi sei e dove lavori. Può sembrare una stupidaggine, invece si pagano prezzi molto alti».
A VD anche Tonia (nome di fantasia) racconta la propria storia: «C’era un collega, più giovane, probabilmente cresciuto a pane e YouPorn», spiega. «Ha frainteso un atteggiamento amichevole e avrà pensato di fare conquiste, forse di stupire una milf. Credo che a volte alcuni ragazzi più giovani, non avendo modo di rendersi interessanti, possano pensare che quello sia il metodo miglior per farsi notare. L’ho stoppato subito. Credo che a scuola dovrebbero insegnare l’educazione sessuale. Ma anche quella sentimentale».
I dati sulle molestie online
Uno degli studi di settore più affidabile è quello condotto da Plan International, il più vasto sondaggio globale sugli abusi subiti online dalle donne. Secondo lo studio, che analizza donne tra i 18 e i 25 anni residenti in 22 paesi ad alto e basso reddito, il 58% delle donne ha subito almeno uno dei sei tipi di violenza sul web definiti dal Pew Research Center. Nel sondaggio Plan si analizzavano anche i social dove gli abusi avvenivano: in questa amara classifica primeggiava Facebook, seguito da Instagram e Whatsapp. Dall’analisi emerge poi che una donna su 5 ha smesso di usare i social, o ha completamente modificato il proprio approccio, dopo una molestia di questo tipo. Il precedente e più noto sondaggio Ipsos Mori per Amnesty International includeva donne tra i 18 e 55 anni: in questo caso la percentuale di vittime si era attestata al 23% (in Italia il 16%).
I sei tipi di violenza online subiti dalle donne
- Minacce (fisiche e sessuali)
- Discriminazioni (di genere, etnica, sessuale)
- Umiliazioni e offese
- Doxxing (pubblicazione di documentazione privata e informazioni sensibili)
- Pornografia non consensuale
- Trolling
Strategie future
«Anche se questa ricerca è stata ricavata da conversazioni con oltre 14.000 ragazze in più continenti, le intervistate condividevano esperienze simili di abuso e discriminazione», ha commentato Anne-Brigitte Albrectsen, CEO di Plan International. Purtroppo, come sottolinea la stessa Albrectsen, senza l’intervento dei colossi del tech le leggi, da sole, potranno poco: «Le compagnie dei social media hanno l’occasione per portare avanti un cambiamento. Questi attacchi non sono fisici, ma sono comunque minacciosi, costanti e senza sosta, e limitano la libertà d’espressione. Quando poi hanno l’effetto di allontanare le ragazze dal mondo online, vuol dire depotenziare giovani donne e danneggiare la loro capacità di essere viste e ascoltate».