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I migliori fotografi ucraini che stanno raccontando la guerra - Seconda parte
foto di Viacheslav Ratynskyi
Le immagini della guerra in Ucraina ci arrivano da qualsiasi canale – media televisivi, online, cartacei, oppure gli stessi social network. I reporter che sono arrivati sul campo, o ai confini, per raccontare al mondo tutto questo, sono cresciuti in maniera esponenziale, ma è prezioso avere il punto di vista di chi città come Kyiv, Odessa e tutte le altre le ha conosciute bene anche prima di questa offensiva Russa. Abbiamo raccolto alcuni tra i migliori fotografi ucraini che in questo momento si trovano nel loro Paese d’origine e stanno documentando quello che accade. La prima parte la trovate qui.
Viacheslav Ratynskyi
Ratynskyi lavora come fotogiornalista da più di 10 anni e i suoi lavori sono stati pubblicati da diversi media ucraini e internazionali, dal Telegraph al New York Times. Oggi collabora anche con l’agenzia Reuters e molte organizzazioni internazionali come UNDP, USAID, UNICEF. Nella foto scattata da Ratynskyi alcuni ragazzi stanno facendo pratica nel lancio delle bottiglie Molotov sul suolo di quella che prima era una fabbrica a Zhytomyr. «Ho scelto questa immagine perché ritrae civili e militari che combattono l’uno al fianco dell’altro per la libertà,» racconta. «I civili stanno facendo molto nella lotta contro gli occupanti russi. La maggior parte degli uomini si è arruolato nelle forze di difesa territoriale, mentre i restanti stanno cercando di dare una mano donando denaro, facendo volontariato e dando un supporto alle persone più anziane e ai bambini».
In che parte dell’Ucraina ti trovi ora – e pensi che ti sposterai?
Quando è iniziata la guerra sono rimasto a Kyiv, dove ho fatto le prime immagini, poi mi sono spostato a Zhytomyr, a 130 km di distanza. Lì ho lavorato al fianco delle autorità locali e ho avuto modo di documentare i primi attacchi aerei contro la città. Ho raccontato diverse storie: dalle persone impiegate nei centri per volontari, agli allenamenti delle forze di difesa, ai cittadini locali impegnati nella costruzione di barricate in centro e di posti di blocco agli ingressi principali della città. Nel decimo giorno di guerra mi sono spostato verso una piccola città nell’Ovest dell’Ucraina per fotografare il lavoro sul fronte interno, le persone in fuga da Kharkiv, Irpin, Kyiv e altre regioni pericolose del Paese. Ora sto progettando di riavvicinarmi a Zhytomyr e poi a Kyiv.
Su che cosa stai concentrando il tuo sguardo?
Il mio focus è sul racconto della storia dei civili che stanno soffrendo a causa della guerra, ma anche che vogliono aiutare il più possibile l’esercito. Voglio mostrare un altro lato della guerra, forse non così scenografico, ma nemmeno triviale. Voglio raccontare quelle famiglie che stanno cucendo gli abiti per i soldati, gli artisti che stanno cucinando il cibo per loro nel retro del teatro locale, i ragazzini che lanciano le molotov durante il giorno e fanno il tè nei rifugi anti-bomba di notte – persone semplici ma coraggiose che stanno facendo la loro parte per la nostra libertà.
Hai già documentato i conflitti? È più facile o più complesso documentare la guerra nel proprio Paese?
Certo, non avrei mai voluto dover raccontare la guerra nel mio Paese, ed è una grande sfida, perché non puoi mettere a tacere le emozioni quando vedi la tua famiglia e gli amici che soffrono per tutto quello che sta succedendo. Da un lato conosco il territorio e ho contatti in tutto il Paese, quindi è più facile fare il mio lavoro. Dall’altro non è solo un assignment, ma la condizione in cui stiamo vivendo io e la mia famiglia. Devo prendermene cura ed essere sicuro che stiano bene. E la cosa più difficile è fotografare le scuole, gli ospedali e le case distrutte dai missili e dalle bombe nella propria città di nascita – posti in cui se passato o che hai visitato migliaia di volte. In ogni caso, nn è la prima volta che fotografo un conflitto nel mio Paese, ho lavorato come reporter per oltre 10 anni, ho documentato la rivoluzione della dignità a Kyiv (2013-14) e la guerra nell’Est. Spero sia l’ultimo conflitto da raccontare qui. Il mio prossimo progetto sarà dedicato alla ricostruzione successiva, e alla ripresa da questi terribili eventi.
Puoi seguire Slava Ratynski su Facebook e su Instagram. La foto di copertina è sua.
Alexey Furman
Alexey Furman è direttore creativo e game designer, ma anche fotogiornalista diplomato in storytelling documentario. Attraverso la fotografia sta documentando gli eventi in Ucraina, lavorando per Getty.
Qual è la foto che hai scattato finora che più rappresenta la percezione che hai di questa guerra?
Qualche giorno fa ho fotografato il funerale di un soldato ucraino di ventiquattro anni che avevo conosciuto, Denys Hrynchuk. Avevo ritratto suo fratello Yevhen e la loro famiglia nel 2016 nell'ambito del mio progetto documentario "Life after Injury" che raccontava i soldati ucraini gravemente feriti che ricevevano cure mediche, si sottoponevano a riabilitazione e tornavano a una vita tranquilla. È stata la prima volta nella mia carriera che fotografavo il funerale di qualcuno che conoscevo personalmente, ed è stato dal punto di vista emotivo incredibilmente difficile. Per la sua famiglia è stato devastante. Per questi tre giorni ho sofferto insieme a loro e ho cercato di sostenerli il più possibile. Ho fatto il possibile per raccontare la storia di Denys a migliaia, se non milioni, di persone in tutto il mondo.
In che parte dell’Ucraina ti trovi in questo momento? Hai intenzione di spostarti?
La mia base è nell’ovest dell’Ucraina, dove mi sposto tra le città in cerca di storie diverse. Per ora, non ho l’obiettivo di lavorare in prima linea e preferirei concentrare i miei sforzi nell’illustrare la catastrofe e i costi della guerra, anche se non escludo la possibilità di lavorare a Kyiv o in altre città in futuro.
Hai mai documentato prima un conflitto? Qual è l’aspetto che ti spaventa maggiormente?
Ho documentato la rivoluzione di Euromaidan, l’annessione della Crimea e la guerra nell’Est dell’Ucraina. Credo che la cosa che mi fa più paura sia trovarmi nella situazione in cui la vita di qualcun altro possa dipendere dalle mie azioni. Ho rischiato la vita nel corso della mia carriera, ma, fortunatamente, non mi sono ancora trovato in questa situazione. E spero di non trovarmici mai.
È più facile o più complesso documentare la guerra nel proprio Paese?
Credo che la copertura dall’Ucraina dei fotogiornalisti nazionali sia più profonda e più varia perché abbiamo a disposizione più contesto e contatti rispetto ai colleghi che arrivano da fuori. Nello stesso tempo, stiamo subendo una botta emotiva più forte, e in qualche maniera siamo distratti. Dobbiamo pensare alla sicurezza di chi amiamo, al futuro del nostro Paese, e al nostro personale futuro mentre facciamo un lavoro giornalistico e documentario, mentre i nostri colleghi possono concentrarsi sul lavoro e tornare in patria dove c’è la pace dopo qualche settimana o mese. Noi non abbiamo questo lusso. Allo stesso tempo, significa che saremo responsabili delle migliaia di storie legate alle conseguenze, una volta che il conflitto sarà terminato.
Alina Smutko
Alina Smutko è una fotogiornalista di Kyiv, la sua famiglia vive molto a est della capitale.
In che parte dell’Ucraina ti trovi in questo momento? Hai intenzione di spostarti?
Vivo e lavoro a Kyiv in questo momento, mentre la mia famiglia è a Poltava – a 350km a est di Kyiv. Per ora non credo di partire, ma dipende da come si evolverà la situazione. Non vorrei dover lasciare Kyiv, e non ho intenzione di abbandonare l’Ucraina.
Su che tipo di storie ti stai concentrando?
Su storie umane – ora si tratta più che altro di evacuazioni, situazioni umanitarie, la vita di bambini, donne e anziani durante la guerra e infrastrutture distrutte dagli attacchi.
Hai mai documentato prima un conflitto? Qual è l’aspetto che ti spaventa maggiormente?
Ho documentato conflitti in precedenza, ma mai scene di guerra. Ho coperto i più importnti eventi in Crimea per 3 anni, ho lavorato in Transnistria, Abkhazia, nel Nagorno-Karabakh e nella zona grigia del Donbas. Non avrei mai immaginato niente di tutto questo. Credo più che altro che a spaventarmi più di tutto siano le restrizioni delle libertà, la cattività, l’idea di finire prigioniera o finire vittima di una violenza sessuale.
È più facile o più complesso documentare la guerra nel proprio Paese?
Raccontare la guerra in casa propria è al 100% più difficile che farlo in qualsiasi altro posto. Il mio problema principale è che sono continuamente preoccupata per i miei figli e i miei genitori, che sono lontani da me, e relativamente vicini alla zona di guerra – per quanto questa sia ovunque – anche se sono sicura che sono al sicuro. Ma continuo a pensarci. Dal lato dei vantaggi, conosco la lingua, conosco il contesto. E non devo preoccuparmi delle scadenze: semplicemente documento quello che sta accadendo e nello stesso tempo continuo a vivere la mia vita.
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