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In Italia 3 milioni di persone devono lavorare in nero

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C’è chi ha lavorato al nero come bagnino, chi, invece, su carta è lavoratore autonomo ma nei fatti è dipendente: sono alcune delle storie sul mondo del lavoro emerse nella nostra community. Abbiamo provato a rispondere ad alcune di loro, con qualche dato.

«Sempre pagata in nero e ora che ho un contratto non mi pagano»

Secondo l’Ufficio studi della Cgia, sono poco meno di 3,3 milioni le persone che quotidianamente, per qualche ora o per l’intera giornata, esercitano un’attività lavorativa irregolare. La situazione più critica si registra in Calabria, dove il tasso di irregolarità è del 22%. Va meglio, invece, al Nord. Lavorare in nero è rischioso anche per il lavoratore e non solo per il datore di lavoro: chi lavora in nero può rischiare di finire addirittura in carcere.

«Architetto a partita IVA, 1.200 € al mese, ma lavoro come fossi un dipendente»

Ad agosto 2021 le partite iva in Italia erano meno di 5 milioni e sembrano essere al loro minimo storico. Nel 2018, invece, le cosiddette “false partite Iva”, cioè quei lavoratori inquadrati come autonomi ma che lavoravano come se fossero dipendenti, erano 600mila. Chi ha una partita iva non ha diritto a ferie, permessi o riposi, né alla tredicesima. Se aprire una partita iva non costa nulla, il lavoratore dovrà mettere mano al portafogli per coprire le spese di gestione, contributi INPS e il pagamento delle imposte.

«Non tutte le società, però, possono offrire uno stipendio in linea con lo standard europeo»

Per un’azienda, il cuneo fiscale incide sul costo del lavoro per quasi il 50%. Secondo Simone Fana, intervistato da VD, il costo del lavoro in Italia non sarebbe più alto che altrove. Sarebbero invece le imprese italiane a essere «disabituate a investire».

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