autismo
«Non chiedeteci di comportarci come le persone neurotipiche». Giulia e la sua vita con l’autismo
Giulia ha 35 anni, è milanese, interista (sfegatata!) e dal 2016 sa di essere autistica. Da quando ha scoperto di essere nello spettro dell'autismo ha cominciato a parlare sul suo profilo Instagram @lunnylunnylunny dei diritti delle persone autistiche, partendo sempre in modo ironico e spontaneo dalla propria esperienza personale. «Anche mi avessero diagnosticato l’autismo quando ero piccola non avrei potuto beneficiare di tutta la conoscenza, dei grandi passi avanti dell'accettazione dell'autismo che invece per fortuna finalmente si sta portando avanti oggi, ma ammetto che a sbarrarmi la strada più del fatto di essere autistica è stato non sapere di esserlo, sentirmi in colpa, sentirmi sbagliata, non riuscire a dare una spiegazione a tutto quello che provavo e al fatto di sentirmi così diversa.»
I numeri dell’autismo oggi
Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale dell’Istituto Superiore di Sanità, nella fascia di età che va dai sette ai nove anni, almeno un bambino su 77 presenta un disturbo dello spettro autistico. In Europa, invece, si verifica in un bambino su 89. Ma questa discrepanza può essere dettata dalla varietà di metodologie con cui si raccolgono i dati.
L'incidenza della sindrome di autismo è maggiore nei maschi, che sono interessati 4,4 volte in più rispetto alle femmine. Secondo, invece, uno studio del 2016 condotto dal Karolinska Institute su 27 mila adulti, le persone con disturbi dello spettro autistico muoiono in media 16 anni prima degli altri, principalmente per epilessia o suicidio. In Italia il “dopo di noi”, ovvero l’assistenza alle persone con disabilità gravi dopo la morte dei loro caregiver, resta ancora un nodo da sciogliere, nonostante l’approvazione di due mozioni sul tema alla Camera, avvenuta a inizio mese.
La differenza tra autismo e sindrome di Asperger
«Io mi definisco autistica innanzitutto perché ho una diagnosi di autismo, non di sindrome di Asperger o altro». Come ci spiega Giulia, infatti, da diversi anni in neuropsichiatria la diagnosi di “sindrome di Asperger” non viene più usata, mentre si parla piuttosto di spettro autistico. «Io mi definisco autistica anche per una questione di rivendicazione politica in un sistema normocentrico. Non voglio utilizzare giri di parole per sembrare meno strana. Io sono autistica punto e basta.»
La sindrome di Asperger prende il suo nome dal viennese Hans Asperger e veniva usata all’epoca come etichetta diagnostica per le persone autistiche prive di disabilità, di compromissione cognitive e motorie e con un quoziente intellettivo entro la norma – se non addirittura superiore – considerate autosufficienti. «Queste persone, chiamate “ad alto funzionamento” si riteneva potessero appunto “funzionare”, essere utili nella società nonostante quelle che venivano definite eccentricità – da qui lo stereotipo del genio bizzarro. Con il tempo ci si è resi conto della maggior complessità della realtà». Molte persone ancora oggi si definiscono Asperger «Per abitudine, per consuetudine, per conservatorismo,» spiega Giulia. «Purtroppo molte persone si vergognano di essere autistiche e preferiscono dire di essere Asperger, perché è un termine socialmente più accettato che fa pensare alla genialità, all'intelligenza, all'efficienza, mentre autismo è un termine che si porta dietro connotazioni negative.
Cosa significa essere autistica
«Per me è come se fosse un costante adattamento, come se dovessi perennemente abituarmi a una nuova temperatura, imparare una nuova lingua, ambientarmi in un paese straniero. Quando questa pressione arriva al massimo a volte è troppo tardi e posso stare molto male, se invece me ne accorgo in tempo mi adatto, ritorno ai miei ritmi». È molto difficile descrivere a parole il modo che hanno le persone autistiche di sperimentare la realtà, spiega Giulia. «Le emozioni sono molto intense, quindi ci sono situazioni in cui sei completamente immerso in quello che stai facendo, momenti bellissimi in cui la vita è degna di essere vissuta, ed è molto bello essere autistica in quei momenti».
Le persone autistiche spesso ricorrono al cosiddetto “masking”, cioè la capacità di mimesi e di adattarsi in un ambiente ostile – non solo relative a questa categoria persone, ma in generale alle minoranze, che storicamente devono trovare strategie di sopravvivenza e di adattamento che portano a osservare e a imitare le persone neurotipiche o la massa. «Molti di noi fanno ricorso a sostanze – alcool, medicinali, droghe – perché alterano le percezioni abituali e fanno sentire in modo diverso. Io quando mi drogavo di psicofarmaci lo facevo innanzitutto perché volevo essere una persona diversa.» L’alcool, poi, è il collante sociale per eccellenza, «avere un bicchiere in mano ti fa sentire parte del gruppo», spiega Giulia.
Gli stereotipi sulle persone autistiche
«Sono tanti. I più tipici sono i due poli opposti, la genialità e la stupidità che a volte si mischiano, lo stupido genio il genio stupido, come se ci fossero perennemente questi due estremi,» spiega Giulia. «Poi veniamo anche considerate persone incapaci di provare sentimenti o empatia, egoiste, egocentriche e inflessibili. E io trovo sempre molto buffa la definizione di persone intransigenti che ci portiamo dietro noi persone autistiche: non voglio negare che ci siano tantissime rigidità, ma anche le persone non autistiche mi sembrano abbastanza intransigenti nello stabilire che cosa è normale e che cosa non lo è. Se noi siamo veramente così intransigenti com'è che ci affanniamo tanto per passare inosservati? Com'è che ci mascheriamo così tanto per farci accettare?»
«Io comunque tutto quello che faccio, lo faccio in maniera assolutamente autistica, a partire dal mio tifo per l'Inter. Spesso mi focalizzo su un particolare e sono completamente disconnessa rispetto all'atmosfera che ho intorno. Un aneddoto: la finale di Champions nel 2010, quando l'Inter ha fatto il triplete. Sono andata a Madrid dove si svolgeva la finale insieme ai miei fratelli maggiori ed è un miracolo che sia riuscita a partire, a prendere l'aereo perché ho passato tutta la notte precedente a piangere, sopraffatta dall'ansia: io ero un sacco da boxe e le emozioni erano i cazzotti, ed è veramente un miracolo che sia riuscita ad arrivare in aeroporto a Madrid. La vittoria è stata uno dei momenti più felici della mia vita ma anche uno dei più faticosi».
«Ho un ricordo bellissimo di quando durante l'intervallo dopo il primo tempo è passata Roll with it degli Oasis, il mio gruppo preferito, e ho pensato “andrà tutto bene”. Abbiamo vinto e dopo la partita non sono rimasta a festeggiare tutta la notte insieme agli altri perché volevo solo andare a dormire, rimanere un attimo da sola. Ero felicissima ma a modo mio, come una persona autistica».
Per comunicare l’autismo bisogna educare alla diversità
Secondo Giulia durante l’infanzia è molto importante l'esperienza sia diretta che indiretta, quindi il quotidiano, ma anche cartoni, fiabe, tutte quelle simbologie che fanno fiorire l'immaginazione e che educhino alla diversità e alla convivenza con essa. «Spesso i bambini che a vario titolo vengono definiti diversi a scuola vengono osteggiati però in primis dagli adulti, magari i genitori dei compagni di classe non li vorrebbero accanto ai figli, o gli insegnanti che non riescono a nascondere l’irritazione per dover avere a che fare con loro».
«Ai bambini direi semplicemente che ci sono tanti tipi di cervelli, che non funzionano tutti allo stesso modo, che alcuni cervelli reagiscono in un modo e altri in un altro alle varie cose e che le differenze non sono né male né bene. Sono solo differenze. Agli adulti direi più o meno le stesse cose, con la differenza che poi la persona adulta apre Google, si legge un libro. A loro consiglio di seguire le persone autistiche che si raccontano direttamente, perché soltanto una persona che vive un’esperienza è la più titolata a parlarne».
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