crimine
La morte di Pier Paolo Pasolini e quella lunga ombra della P2
Sono gli anni Settanta, precisamente il 1975, e la politica italiana è sempre più spesso sinonimo di violenza, quella delle stragi, del terrorismo, o anche di quella violenza diffusa che insanguina le strade di numerose città. Soltanto in quell’anno le vittime di “Politica” sono otto. Alcuni esempi: Sergio Ramelli, a cui alcuni militanti di estrema sinistra spaccano la testa con una chiave inglese; Alberto Brasili, accoltellato da giovani di destra perché attraversa una zona nera vestito «da comunista»; Gianni Zibecchi, investito da un camion dei carabinieri durante una manifestazione. E la lista continua. È in questo clima che avviene un delitto come quello di Pier Paolo Pasolini. Ed è forse questo odio che ha ucciso Pasolini, "frocio e comunista"?
Quello di Pasolini fu un crimine d'odio?
2 novembre 1975. Ore 22,30. Pasolini è all’interno della sua Alfa 2000, in piazza dei Cinquecento, davanti alla stazione. Pino Pelosi viene avvicinato dall’intellettuale, torna al bar per riprendere le chiavi e intanto avverte alcuni amici. borgatari, così simili a quei fiji de na mignotta protagonisti dei suoi libri e dei suoi film; ma anche ragazzi violenti, con idee politiche confuse ma precise, per i quali Pasolini non è un poeta, non è un omosessuale, ma è un “frocio comunista”, un nemico, uno a cui si deve dare una lezione. Così lo seguono, lo tirano fuori dalla macchina e lo massacrano. Questa la versione ufficiale e potrebbe essere andata proprio così. O forse no. C’è difatti un’altra pista, un altro terribile sospetto. La P2 fu responsabile, o complice, del delitto Pasolini?
L'ombra della P2 sul delitto Pasolini
Pelosi, l’allora ragazzino diciassettenne accusato dell’omicidio, ha poi dichiarato che i veri responsabili dell’omicidio furono cinque uomini arrivati sul posto con una moto e una Fiat targata Catania. Tra loro, due frequentatori della sezione del Msi (Movimento Sociale Italiano) del Tiburtino, Franco e Giuseppe Borsellino. I cinque, secondo la testimonianza, gridavano “sporco comunista!” mentre colpivano a morte lo scrittore. E Pelosi, ricordando l’episodio ha affermato: «Se tu uccidi qualcuno in questo modo, o sei pazzo o hai una motivazione forte: siccome questi assassini sono riusciti a sfuggire alla giustizia per trent’anni, pazzi non sono certamente… E quindi avevano una ragione, una ragione importante per fare quello che hanno fatto…».E difatti Pasolini stava lavorando a un romanzo, intitolato Petrolio, in cui si alludeva chiaramente all’attentato a Enrico Mattei, presidente dell’Eni fino alla sua morte avvenuta il 27 ottobre 1962. Questo romanzo, il romanzo delle stragi, il romanzo di parte della storia oscura d’Italia, Pasolini lo stava scrivendo proprio nel periodo antecedente la sua morte. 500 pagine, ma dovevano essere 2 mila, incompleto, soltanto abbozzato, pieno di notazioni a margine e di aggiunte. Il libro verrà stampato postumo nel 1992.
Di cosa parla Petrolio
Di cosa parla Petrolio? Come detto, dell’Eni. Non soltanto di quello: parla di Eni, della morte di Mattei, del suo successore Eugenio Cefis, della strategia della tensione, della politica italiana fino alla metà degli anni Settanta. Qualcosa di troppo scomodo per l’epoca. Pasolini scrive che Eugenio Cefis, citato con il nome di fantasia di Troya, divenne a sua volta presidente dell’Eni e questo «implicava la soppressione del suo predecessore».Cefis, secondo il Sismi (Servizio Informazione e Sicurezza Militare), è ritenuto il fondatore della P2, sostituito poi da Licio Gelli dopo la sua fuga dall’Italia, avvenuta nel 1977. Cefis teorizzava una sorte di golpe bianco, senza l’uso dei militari e della violenza, attraverso il controllo dei mezzi di informazione, come descritto in seguito nel Piano di rinascita democratica di Gelli. Per Pasolini, il delitto Mattei fu solo il primo di una lunga serie di stragi di Stato che avrebbero insanguinato gli anni 60’ e 70’. Tesi sostenuta persino da Amintore Fanfani, cinque volte presidente del consiglio dei ministri: «forse l’abbattimento dell’aereo di Mattei, più di vent’anni fa, è stato il primo gesto terroristico nel nostro Paese, il primo atto della piaga che ci perseguita». Una piaga che reclamò anche la vita di Pasolini un decennio più tardi.
Segui VD su Instagram.