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Massimo Carminati: chi ha paura dell’uomo nero
Massimo Carminati è sopravvissuto a una pallottola alla testa, conquistandosi la fama di immortale. È passato quasi indenne da processi guadagnandosi la leggenda dell’impunità. Il viaggio nella storia di Carminati è un viaggio a tinte nere tra misteri impenetrabili e verità nascoste che negli ultimi quarant’anni hanno bagnato di sangue e piombo le strade della Città Eterna. Ma chi è davvero Massimo Carminati?
L'Ottavo Re di Roma
Alle masse indottrinate dalle serie tv è noto come il Nero di Romanzo Criminale e il Samurai nella serie Netflix Suburra. Nel variopinto sottobosco della criminalità capitolina è conosciuto come il Guercio, o er Cecato, per via della ferita sull’occhio sinistro. La stampa nazionale lo ha consegnato agli onori della cronaca come l’Ottavo Re di Roma. Cresciuto nel mito della rivoluzione nazionale fascista, aderisce ai Nuclei Armati Rivoluzionari e fa il suo ingresso nel mondo del crimine come rapinatore politicizzato. I Nar condividono lo stesso luogo di ritrovo con i membri della nascente Banda della Magliana, e il Fungo dell’Eur diventa teatro di alleanze e progetti criminosi. Come la rapina del 1979 alla Chase Manhattan Bank di Piazza Marconi, che salda il sodalizio banditesco tra malavita romana ed eversione nera.
Tra terrorismo e servizi segreti
Latitante, scappa in Libano con altri componenti dei Nar per sostenere i falangisti di Ketaeeb nella guerra civile contro i filopalestinesi; tornato in Italia, insieme a due neofascisti e ad un borsone con 25 milioni e pietre preziose, cerca di varcare clandestinamente il valico italo–svizzero di Gaggiolo, ma la fuga è interrotta dalla Digos, che apre il fuoco sull’autovettura. Un proiettile gli spappola l’occhio e rimane conficcato nella mascella. Sopravvissuto all’agguato, da allora diventa per tutti er Cecato, il Guercio, entrando di diritto nell’Olimpo del crimine. La dimestichezza con gli esplosivi e la capacità di mediazione ne fanno il custode dell’arsenale comune di terroristi neri e Magliana, nascosto nientemeno che in uno scantinato presso il Ministero della Sanità. È da questa santa barbara che Massimo Carminati preleva un fucile mitragliatore Beretta Mab 38/44 e cariche di esplosivo T4 che fa ritrovare in una valigetta sul treno Taranto-Milano il 13 gennaio 1981. L’operazione, avallata dai servizi segreti, doveva depistare le indagini per la strage della stazione di Bologna.Si pone al centro del triangolo d’oro eversione, grande criminalità e servizi segreti, nel ruolo di anello di congiunzione di un sistema di vasi comunicanti.Gli infiniti processi al terrorismo nero prima e alla Banda della Magliana poi gli costano varie condanne ed un’assenza forzata dalla scena criminale, ma Carminati si concede un eclatante ritorno sulla scena che verrà ribattezzato “il colpo del secolo”.
Il Guercio a processo
Nella notte tra il 16 e il 17 luglio del ’99, conduce un commando di banditi e scassinatori dritti nelle viscere del Palazzo di Giustizia di Piazzale Clodio, nel caveau della Banca di Roma. Nel forziere di alti magistrati, avvocati, ufficiali dei carabinieri, poliziotti, finanzieri.Entra senza far scattare l’allarme, senza forzare lucchetti, senza sparare. Con una lista selezionata di 147 cassette di sicurezza, dalle quali sottrae documenti riservati, estratti conto e un po’ di cocaina di qualche professionista col vizietto.Mentre i commilitoni si avventano sul bottino di oltre venti miliardi di lire, il Cecato si appropria dei segreti di quella che si scrive giustizia e si legge potere.L’epopea giudiziaria di Carminati è tanto lunga e tortuosa quanto sorprendente.In quattro decenni di manette e processi, il Nero ha sempre ripetuto la stessa formula: «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere».Nell’ambito dei distinti processi a Nar e Banda della Magliana viene condannato per rapina, porto illegale di armi, lesioni personali. Tuttavia, in entrambi i casi arrivano puntuali due indulti, rispettivamente del 1986 e del 1990, che riducono o addirittura condonano per intero le pene inflitte dai giudici di Cassazione.Nell’arco della stessa giornata, il 24 settembre 1999, viene assolto in primo grado per il delitto Pecorelli, e la Procura di Milano chiede l’archiviazione di Carminati nell’inchiesta sui due leoncavallini assassinati vent’anni prima.
«Io sono tutto e il contrario di tutto»
Per la valigetta sul treno l’accusa chiede nove anni di carcere per lui, quattro per un colonnello del Sismi e tre per un generale dell’aeronautica; ma nel 2001, in appello, è l’unico a farla franca: il reato contestatogli – detenzione e porto di armi ed esplosivi– nel frattempo si è prescritto.Per il super colpo al caveau nessuno dei derubati sporge denuncia per il furto subito e l’unico scassinatore pentito, interrogato dal pm, rifiuta perfino di pronunciare il nome dell’Uomo Nero: «Io questo signore non lo conosco, non lo voglio conoscere» aggiungendo terrorizzato «Con questa domanda lei mi mette la testa sotto la ghigliottina».Nuovo processo, nuova condanna (4 anni di detenzione), nuovo indulto. Nel 2006, estinta così la pena, Massimo Carminati ottiene l’affidamento in prova ai servizi sociali, misura questa concepita dall’ordinamento per permettere il reinserimento sociale del fu detenuto.Viene assunto presso la Cooperativa 29 giugno di Salvatore Buzzi, un ex galeotto pentito e riabilitato dalla politica. È solo l’inizio di quella che passerà alla storia come Mafia Capitale.È stato descritto come l’Ottavo Re di Roma, arbitro di vita e di morte del raccordo anulare, sebbene nella Roma dei sette colli e mille imperatori sia mal costume inflazionato quello di assegnare o revocare la fantomatica corona.Il Guercio sopravvive alle diverse primavere criminali e culturali e una volta finita l’epoca dei golpe e dell’eversione nera, accresce e perfeziona il ruolo di trait d’union tra mondi all’apparenza inconciliabili e distanti.
La lingua della suburra, coltello e tangente
Cadono governi, cambiano i papi e si eleggono nuovi partner, ma la lingua della suburra, coltello e tangente, resta la stessa. Smantellata tra morti e pentiti la Banda della Magliana, e sopite le voluttà golpistiche degli anni di piombo, c’è da riempire un enorme vuoto di potere. Massimo Carminati si adagia plasticamente alla metamorfosi criminale capitolina e diventa lo scenografo occulto del proscenio dei tre mondi – di sopra, di mezzo e di sotto – collocandosi a metà tra le stanze dei bottoni e la strada, dove tutto s’incontra e tutto si mischia. Il mondo di sopra è popolato da maschere note al Nero. Vecchi camerati divisi dai tempi delle batterie di fuoco e di nuovo accanto, in doppio petto, nei corridoi del Campidoglio o nei CdA di importanti partecipate pubbliche. Gennaro Mokbel (scandalo FastWeb-Telecom Italia Sparkle–Fastweb), Franco Panzironi (a.d. di Ama) e Riccardo Mancini (a.d. di Eur Spa), sono solo tre tra gli ex militanti dell’eversione nera ai quali Massimo Carminati presenta il conto. Nel mondo di sotto, i nuovi interlocutori sono le cellule 'ndranghetiste, i Casamonica e il clan camorristico di Michele Senese O’Pazzo, con i quali coordina il traffico di stupefacenti e l’usura. Attività un tempo esecrate ma ora troppo redditizie per essere ripudiate. E poi il mondo di mezzo, il più vasto e variegato. L’impianto della dimensione reticolare della tela del Cecato. Poliziotti affascinati dalle sue gesta, capi ultrà di Roma e Lazio a braccetto, funzionari pubblici da lui stipendiati. Una radio e un giornale a disposizione. A Roma non si spara più, il garante della pax nel network criminale capitolino è proprio Massimo Carminati, che in un esercizio di equilibrio tra colletti bianchi, fazzoletti rossi e reduci delle camicie nere, alterna la politica del ricatto a quella della mazzetta. È così che la longa manus del Cecato si insinua nella raccolta e nello smaltimento dei rifiuti, nell’accoglienza dei profughi e nella manutenzione del verde pubblico. Seppur interdetto dai pubblici uffici, vi spadroneggia senza la necessità di accedervi. E pace se i libri neri non sono più quelli di Evola o Celiné, ma la raccolta delle richieste di Odevaine (ex direttore della polizia provinciale di Roma, ndr) per ogni rifugiato venduto.
Mafia Capitale
Il 30 novembre 2014, due giorni prima dello scoppio della bomba Mafia Capitale, i carabinieri del Ros, su ordine della Procura di Roma, procedono al suo arresto nei pressi di Sacrofano, suo comune di residenza a nord di Roma. Carminati finisce recluso nel carcere di massima sicurezza di Parma, dove le intercettazioni ambientali mostrano un uomo tranquillo e beffardo, e un po’ affetto da sindrome cutuliana di boss tra le sbarre. Da una parte rivendica la sua identità di criminale politico e prende le distanze dalla Banda della Magliana: «'sti cialtroni. Ma loro vendono la droga, io la droga non l’ho mai venduta, non mi ha mai interessato. Io schioppavo (rapinavo, ndr) dieci banche al mese». Dall’altra rompe il silenzio con gli inquirenti, prodigandosi in una stravagante richiesta di giustizia: «Vorrei un processo sui miei processi», per difendersi dalle campagne mediatiche nei suoi confronti. Quest’uomo, capace di adattarsi alla particolarità delle condizioni storiche, politiche e istituzionali della città di Roma, ha seminato complicità e forme di ricatto creando una struttura organizzativa a raggiera capace di aggredire i gangli vitali dell’amministrazione pubblica capitolina. È innegabile come il suo regno abbia profondamente influenzato i destini della Capitale, che dopo lo scioglimento per mafia ha subito un susseguirsi di commissari e sindaci senza giunta. Un criminale sofisticato, si legge nelle carte della Procura, innamorato delle cose belle. Come i dipinti di Pollock e Warhol, o le ricercate tele di Schifano tanto care ai maglianesi, che la Finanza gli ritrova in casa. Ma allo stesso tempo campione di arroganza e del «lei non sa chi sono io», con cui intima all’operatore del call center un rapido ripristino della linea telefonica. Il soggiorno forzato nelle patrie galere non ha però smorzato la spavalderia del Nero, convinto che la tempesta giudiziaria ancora una volta si rivelerà un fuoco di paglia, da spegnere agilmente. Se con l’aiuto di un indulto o di una prescrizione, sarà solo il tempo a dircelo.
[Massimo Carminati è stato liberato il 16 giugno 2020, per una "questione tecnica sottoposta in Corte d'Appello" dopo soli 5 anni e 7 mesi di carcere. Il 9 marzo 2021 è stato condannato dall'Appello bis a 10 anni per Mafia Capitale ndr].
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