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Il coprifuoco è una misura repressiva. E non ha nulla a che fare con la pandemia

Una misura indeterminata, non circostanziata, indefinita nel tempo e senza una vera ragione scientifica. Il governo Draghi conferma il coprifuoco preferendo la linea dura e senza concedere sconti di orario. Una linea che determina un prezzo da pagare ormai insostenibile per le persone e per il sistema economico, cristallizzati in una bolla sacrificale da oltre un anno. E che solleva seri dubbi sulla sua legittimità.

Una misura anti-scientifica

Molti esperti concordano: il coprifuoco non ha alcuna ragione scientifica. La sua unica ragione è dissuasoria: ridurre al lumicino le possibilità di incontro tra le persone. Fino al paradosso di diventare controproducente attraverso la compressione degli orari e favorendo comportamenti disordinati e scomposti. Non solo, trattandosi di un provvedimento di affiancamento alle altre misure di contenimento dei contagi, gli effetti statistici di questa dissuasione restano difficilmente misurabili. Nella moltitudine di azioni - più o meno condivisibili - applicate dai governi per il contenimento della pandemia si ritrova sempre (o quasi) un’origine di tipo scientifico, effettiva e ben determinata: distanziamento, igiene, aerazione, uso delle protezioni. Come può una misura di tipo indiretto, come il coprifuoco, convivere, per di più per mesi, all’interno di un sistema democratico? Potremmo paragonare tale non determinatezza e non scientificità del coprifuoco a un decreto assurdo in cui si decida, per evitare le violenze sessuali, di evirare tutta la popolazione maschile, invece di combattere la cultura dello stupro. È la teoria dell’evitamento - molto radicata nella cultura istituzionale italiana - in cui, invece di operare per evitare le conseguenze spiacevoli della normalità, si prova a eliminare la normalità (lo stessa che chiude le piazze dei centri storici o vieta l’alcol dopo una certa ora). Quella cultura del divieto che dimentica di considerare la popolazione come popolazione adulta (come già abbiamo avuto modo di scrivere).

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Il coprifuoco è incostituzionale?

L’emergenza legata al Covid dura da tempo ed è probabilmente destinata a durare nel tempo. C’è quindi da chiedersi se sia appropriato parlare di “emergenza” e, di conseguenza, se sia giusto comprimere diritti costituzionalmente garantiti, come la libertà personale, in base a ragioni di carattere sanitario e di sicurezza definite “straordinarie”. Insomma, per alcuni la pandemia non è un motivo abbastanza solido per giustificare le restrizioni alle nostre libertà. In questo quadro, il coprifuoco risulterebbe una misura illegittima, che viola le libertà - costituzionalmente garantite - di circolazione e personali. In sostanza, secondo alcuni giuristi, “i limiti della libertà di circolazione attengono a luoghi specifici il cui accesso può essere precluso, perché ad esempio pericolosi; quando invece il divieto di spostamento non riguarda i luoghi, ma le persone allora la limitazione si configura come vera e propria limitazione della libertà personale” e quindi una violazione dell’articolo 13, che prevede che la libertà personale sia inviolabile. Altri giuristi, invece, la ritengono una misura che può rientrare nella trattazione dell’articolo 16 della Carta, che adduce a “sanità e sicurezza” le ragioni per le deroghe alla libertà di circolazione dei cittadini. Un tribunale, però, si è già pronunciato. Il giudice Dario De Luca, del foro di Reggio Emilia, si è appellato proprio all’articolo 13 per stabilire la non legittimità di tutti i Dpcm emanati per contenere la pandemia e le limitazioni agli spostamenti “in essi contenuti”. Secondo il magistrato, infatti, “sicuramente nella giurisprudenza è indiscusso che l’obbligo di permanenza domiciliare costituisca una misura restrittiva della libertà personale”. Una illegittimità che, secondo il giudice, si applica per corollario anche ai decreti legge, come quelli emanati dal governo Draghi. Senza contare che le restrizioni, come il coprifuoco, sono più un tentativo disperato e draconiano di tamponare una falla che dovrebbe essere invece bloccata da un piano vaccinazioni adeguato. Come accaduto in altri Paesi.

Una politica che si accontenta delle briciole

La lotta interna alla maggioranza, che ha portato all’astensione della Lega in occasione della firma del nuovo decreto (che il coprifuoco lo estende fino a fine maggio), è diventata una lotta sulle briciole. Il Governo, infatti, ha deciso impedire la libertà di movimento già, come adesso, dalle 22 e non dalle 23, come qualcuno proponeva. Una polemica che, nella sua piccolezza, rivela l’afflosciamento dell’attenzione sul tema. Siamo arrivati al paradosso che, invece di dibattere sull’opportunità del coprifuoco, lottiamo per un’ora d’aria in più. Piuttosto la scelta sembra parte di una strategia di controllo morbido, nella quale, senza nemmeno far troppo rumore, si danno sempre più per scontate delle misure di limitazione della libertà del cittadino. Fermo restando che si tratta di un controllo senza controllo, visto che i controlli sono pochissimi, tanto da indurre a pensare che il provvedimento serva più a evitare di pagare gli straordinari alle forze di polizia che altro. In ultimo, celebrando le gocce come fossero mareggiate, si induce il cittadino a festeggiare per la riapertura controllata, per una pizza di fretta o per poter far la coda di fronte al negozio di scarpe. No, il coprifuoco non ha nulla a che fare con la pandemia. Ha a che fare, piuttosto, con la dichiarazione di incapacità di gestione del problema finalizzata alla riduzione (forse illusoria) delle unità nei computi giornalieri dei contagi, di una incapacità nazionale ed europea nella gestione delle campagne vaccinali, nell’incapacità di formazione culturale e umana di una cittadinanza autosufficiente nell’auto-regolamentazione. Del resto, se chiudiamo le scuole e lasciamo aperti i centri commerciali, poi cosa ci aspettiamo?

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