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Il futuro della scultura è un inno alla tecnologia

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Forse non tutti si rendono conto della portata dell’evoluzione che è in atto e degli effetti collaterali che essa potrebbe comportare. Al giorno d’oggi la Dea Tecnologia, da mero strumento di supporto occasionale ha assunto una funzione nuova, immergendosi nell’uomo a tal punto da diventarne parte, prolungandone il corpo e la mente. Viviamo in un mondo ibrido, con spazi mentali e digitali dai confini sempre più labili; nell’era del contagio reciproco, della profanazione del feticismo tecnologico. L’euforia per le nuove scoperte ha contaminato ogni ambito culturale e sociale fino ad addentrarsi nel mondo artistico, dove attualmente l’arte e l’informatica sembrano andare a braccetto, mettendo definitivamente in questione il concetto di arte stessa. In particolar modo nell’ultimo ventennio l’arte si è fatta sempre più digitale, trasformando gradualmente pennellate di colore in pixel, musei in parchi giochi, e sculture classiche in installazioni audio-video. A tal proposito è interessante conoscere Jordan Wolfson, giovane artista newyorchese contemporaneo (classe 1980), vincitore del prestigioso Cartier award nel 2009 e dimostrazione assoluta di quella che potrebbe diventare la scultura nel prossimo millennio: la scultura del futuro. Nonostante le diverse apparizioni di Wolfson nel nostro paese, precisamente alla galleria napoletana T293 e alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, l’Italia sembra ancora non dare troppa attenzione all’artista, forse perché non ancora veramente pronta alla sua creatività.

Viviamo in un mondo ibrido, con spazi mentali e digitali dai confini sempre più labili

Le sue opere prendono ispirazione dai miti del mondo contemporaneo, da internet, dalla pubblicità e dalla cultura pop, con lo scopo di mostrare l’influenza assoluta che i new media esercitano oggi su ognuno di noi. L’arte wolfsoniana è al contempo “riflesso del mondo” e “strumento di riflessione”: una sorta di critica sociale dell’immaginario collettivo, un viaggio nel flusso esistenziale, una forma di intrattenimento trasgressiva. Nonostante le opere dell’artista consistano prevalentemente in installazioni sonore e prodotti-video, quali ad esempio il filmato del suo debutto newyorchese Animation, masks (2011), sono le sue sculture animate a suscitare la maggiore presa sul pubblico. Ciò che spinse Wolfson a addentrarsi nel mondo dell’animatronic art fu la sua esperienza alla Hall of Presidents di Disney World: egli dichiarò di essere rimasto così colpito dal robot di Barack Obama che decise di ideare qualcosa che trasmettesse le stesse emozioni.La prima scultura animata di Jordan Wolfson è Female Figure (2014), ideata a Hollywood con il budget di mezzo milione di dollari e scelta come epilogo alla Live Art exhibition 14 Rooms di Basilea (Svizzera). Female Figure si presenta come una figura robotica femminile di taglia umana, letteralmente “infilzata” da un palo meccanico, che ne fissa il busto ad un enorme specchio. L’automa, mostratoci di spalle in una stanza bianca completamente vuota, danza con movenze sensuali sui suoi tacchi vertiginosi, esibendo le formosità al pubblico nel suo abitino semi-trasparente stile nightclub. Con questa scultura animata ai limiti del grottesco, consumata dai lividi e sporca nelle piaghe del vestito, Wolfson sembra voler distruggere lo stereotipo della pop-star, rendendo la diva più simile ad una stripper esausta dalla vita.

Jordan Wolfson si ispira ai miti contemporanei di internet e dei new media
Jordan Wolfson si ispira ai miti contemporanei di internet e dei new media

internet, pubblicità, cultura pop. E’ questo il futuro dell’arte?

Il consumo di carne, specialmente negli Stati Uniti, ha toccato vette vertiginose. Questo, sia chiaro, non è un invito a diventare vegani: il peso specifico sull’ambiente di questa particolare dieta, infatti, non è tanto differente dalla dieta mediterranea. Non mettiamo sotto inchiesta la carne in quanto tale, ma la sua produzione intensiva.

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