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Perché i videogiochi dovrebbero far parte delle Olimpiadi

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Le Olimpiadi nacquero per evitare i conflitti e connettere, ogni quattro anni, persone diverse da popoli lontani. Un obiettivo che i videogiochi raggiungono tutti i giorni, anche in questo momento.

Videogiochi alle Olimpiadi

La campagna per far entrare gli eSports tra le discipline olimpiche ha già qualche anno. Proprio il 22 luglio l’Intel World Open, con i suoi tornei di Street Fighter V e Rocket League avrebbe dovuto aprire le Olimpiadi di Tokyo 2020 se il coronavirus non avesse fatto annullare l’evento. Lo stesso CIO Kit McConnell si era detto interessato a «imparare da questo evento e continuare a interagire con l’appassionata comunità eSports di tutto il mondo». L’iniziativa aveva tutto l’aspetto di un primo passo verso l’inclusione dei videogiochi nelle discipline olimpiche, e non era neanche la prima, visto che all’apertura delle Olimpiadi invernali di PyeongChang si erano tenuti gli Intel Extreme Masters di Starcraft 2. Negli ultimi anni l’Italia, su iniziativa del presidente del CONI Giovanni Malagò, ha incaricato Michele Barbone, del Comitato Promotore E-Sports Italia, di sviluppare tutte le attività perché la disciplina degli eSports venga riconosciuta. Ma le resistenze sono tante e c’è addirittura chi, come il Comitato Olimpico Tedesco, non vuole neanche che si chiamino eSports ma eGaming, declassandoli a semplice attività ludica.

Parigi 2024

Ogni nazione che ospita le Olimpiadi può scegliere quattro discipline da aggiungere a quelle già presenti nella competizione. La Francia è una delle nazioni europee dove il gaming è più sviluppato e ci si aspettava che gli eSports entrassero nelle quattro discipline aggiuntive per Parigi 2024, invece sono stati scelti surf, climbing, skateboard e danza sportiva (la breakdance). Il comitato olimpico corteggia il gigantesco pubblico degli eSports ma continua ad avere dubbi e resistenze ad includere i videogiochi nelle Olimpiadi per almeno due buoni motivi. Prima di tutto la violenza dei videogiochi: molti dei più popolari si basano sullo sparare agli avversari e, no, non sono equiparabili al tiro al piattello, c’è ben poco da fare. L’altro è l’attività fisica che, nonostante i propositi sociali e politici dell’evento, è alla base della storia olimpica: in Grecia queste manifestazioni nacquero, sì, per evitare i conflitti, ma anche per proporre uno stile di vita basato sullo sport (allora nei ginnasi, oggi nei campi di atletica). Ma i numeri del gaming fanno gola.

I videogiochi uniscono il mondo

Il settore degli eSports è uno dei più ricchi e in crescita del mondo. Raggiungerà, secondo il report di Newzoo, il miliardo di fatturato nel 2020, con quasi 500 milioni di utenti in tutto il pianeta. Le Olimpiadi continuano a corteggiare il settore nello stesso modo con cui l’Academy premiò Hettie McDaniel, straordinaria attrice nera che vinse l’Oscar per Via col vento: la fecero entrare in sala a ritirare la statuetta e mostrare alla popolazione afroamericana che c’era posto anche per loro, e poi la sbatterono fuori perché il teatro era “solo per bianchi”. Gli eSports, o eGaming per accontentare il Comitato Olimpico Tedesco, sono utili ma non sono ben accetti nel mondo dei “veri sport”. Eppure i videogiochi, molto più di qualsiasi Olimpiade, hanno unito il mondo. Ovunque tu viva, dal sobborgo di Seoul all’appartamento di Tokyo, dalla Tiburtina a Roma al Marina District di San Francisco, se hai una connessione internet e un qualsiasi MOBA o MMORPG, condividerai lo stesso spazio virtuale e parlerai il linguaggio comune di una rete che ogni giorno, senza grandi inaugurazioni, piani di edificazione multimiliardari e dirette televisive connette milioni di persone diverse in tutto il mondo.

Il nostro futuro è un videogioco?

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