on the road
Viaggiare in auto nell'Italia del boom economico
Una macchina veloce, l’orizzonte lontano e una donna da raggiungere alla fine della strada. Non è uno slogan ma l’inciso più celebre del quarto romanzo di Jack Kerouac, On the road, manifesto letterario della Beat generation. Il romanzo si pone a metà strada tra la finzione e l’autobiografia, e si sostanzia in una sorta di “diario di bordo” relativo a tre viaggi che i due protagonisti, Sal Paradise (alter ego dello stesso Kerouac) e Dean Moriarty (pseudonimo di un altro scrittore americano, Neal Cassidy) compiono attraverso gli Stati Uniti e il Messico all’insegna di eccessi e musica jazz.
Il libro di Kerouac ha contribuito a creare una vera e propria mitologia della “vita di strada” e a sublimare un immaginario, quello del “car trip”, che negli anni successivi conoscerà particolare fortuna. Quando On the road fu pubblicato, nel 1957, in Italia la realtà del viaggio in auto era ben lontana da quella narrata nel romanzo di Kerouac.
L'Italia del boom economico
Diversamente dall’America della beat generation, l'Italia era un paese decisamente più ingenuo che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, stava dando il via a un ambizioso processo di ricostruzione. Parafrasando Lorenzo Calandri: «Negli anni del boom economico (dal 1958 al 1963), la società Italiana conobbe in un brevissimo volgere di anni una rottura davvero grande con il passato: nel modo di produrre, di pensare e di sognare, di vivere il presente e di progettare il futuro».
Dal “Miracolo economico” scaturì un netto miglioramento del tenore di vita del ceto medio italiano. Gli elettrodomestici, fino a pochi anni prima classificati come beni di lusso, cominciarono a diffondersi nelle case delle famiglie monoreddito e, col tempo, acquistare un’auto a rate divenne la normalità.
L'esplosione dell'automotive italiano
L’industria automobilistica conobbe un’espansione eccezionale: le auto prodotte in Italia passarono da quasi 600mila esemplari nel 1960 a quasi due milioni a fine decennio, con una crescita del 189%. Man mano che il ricordo della guerra sbiadiva, gli italiani cominciavano a disporre di tempo e risorse da dedicare a sé stessi.
A cambiare fu soprattutto il modo di concepire la vacanza: in particolare, la “gita al mare” finì col costituire un’opportunità di riscatto sociale per un gran numero di famiglie italiane. A cavallo tra gli anni ’50 e ’60, la vacanza (o meglio, la “villeggiatura”) diventò un vero e proprio diritto: l’articolo 36 della Costituzione («Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi») veniva ripetuto come un mantra e impugnato fieramente dinanzi ai propri datori di lavoro. Il tempo libero stava diventando una cosa seria.
Il "Miracolo economico"
A bordo di utilitarie sprovviste di aria condizionata, centinaia di famiglie italiane imboccavano le nuovissime autostrade e partivano alla volta delle “spiagge libere”, con gli abitacoli stracolmi di cestini carichi di vivande da consumare una volta giunti a destinazione. Solitamente, per evitare la calura estiva e le code interminabili, si partiva di notte. I bambini non sedevano sugli appositi seggioloni, ma sulle ginocchia dei nonni, pronti a “rimandare a settembre” ogni tipo di preoccupazione.
Anche il cinema fu testimone di questo mutamento di paradigma: a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, il film “turistico-balneare” si impose come sottogenere della commedia all’italiana.
La diffusione di pellicole come Tempo di villeggiatura, Vacanze a Ischia, Avventura a Capri, Tipi da spiaggia e Racconti d’estate impreziosirono ulteriormente il mito della “villeggiatura all’italiana”, trasformando i viaggi in macchina interminabili, il tettuccio carico di bagagli, i costumi ascellari, i panieri traboccanti di cibo e le code ai caselli come veri e propri archetipi del faire des vacances all’italiana.
Se vista attraverso le lenti odierne, questo tipo di esperienza di viaggio fa sicuramente sorridere: sembra il retaggio di un passato lontanissimo, la reliquia di un’epoca preistorica. Eppure, in quegli anni, la vacanza era qualcosa di più di un semplice svago: era l’espressione di un Paese che, uscito dalle macerie della ricostruzione post-bellica, rivendicava finalmente il diritto di avere del tempo da vivere col sorriso, oltre la fatica e il dolore dei decenni passati.
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