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Il turismo che distrugge il pianeta
Nel 1964 Michelangelo Antonioni diresse Deserto rosso, il suo primo lungometraggio a colori. Ambientato in una Ravenna petrolchimica e industriale, teatro di una natura sempre più sottomessa alle esigenze dell’uomo, il film è incentrato sulla figura di Giuliana, interpretata da una Monica Vitti in stato di grazia, donna tenuta in scacco da una nevrosi che l’ha spinta più volte sull’orlo del suicidio. L’atmosfera claustrofobica del film viene spezzata soltanto quando Giuliana, per conciliare il sonno del figlio, sceglie di raccontargli una favola. In quel momento, la Ravenna delle fabbriche e dei fumi di scarico si dissolve per cedere la scena ad una spiaggia meravigliosa e incontaminata, «dove il mare era trasparente e la sabbia rosa». Quella spiaggia fiabesca, resa celebre dalla macchina da presa di Antonioni, è Cala di Roto, situata nella costa sud-orientale di Budelli, in Sardegna.
Di pugno in pugno, la “Spiaggia Rosa” ha rischiato di scomparire
Per le particolari tonalità rossastre che il suo arenile può assumere, Cala di Roto è conosciuta anche come Spiaggia rosa. Per anni, centinaia di turisti sconsiderati non hanno potuto esimersi dal portare a casa un pugno di sabbia di Budelli come souvenir da far troneggiare nei propri salotti. Di pugno in pugno, la Spiaggia Rosa ha rischiato di scomparire, falcidiata dai furti di sabbia dei villeggianti.
Il caso di Budelli ha anticipato una problematica tipica del nostro tempo: la chiusura al pubblico di luoghi incontaminati, che vengono irrimediabilmente distrutti dal comportamento insostenibile di orde di turisti “mordi e fuggi” a caccia di Instagram stories. Sembra impossibile ma, fino a qualche anno fa, non esisteva una precisa definizione di overtourism. L’unico dizionario a contenere la relativa voce è il Collins, che incorpora la definizione di Greg Dickinson, secondo il quale si tratta del «fenomeno per cui una destinazione popolare o un particolare scorcio vengono invasi dai turisti in modo insostenibile».
È stato Rafat Ali, CEO e founder di Skift, a coniare il termine “overtourism”
Tuttavia, è stato Rafat Ali, CEO e founder di Skift, media company del settore dei viaggi, a coniare il termine, utilizzando come laboratorio d’analisi l’Islanda, un paese che, negli ultimi anni, è stato travolto da una crescita del settore turistico senza precedenti.
Un caso simile a quello dei “ladri di sabbia” di Budelli è quello che, quest’anno, ha interessato proprio l’Islanda, nello specifico il canyon di Fjadrargljufur, chiuso per sovraffollamento turistico dopo che, nel 2015, Justin Bieber lo ha scelto come location per girare il videoclip della sua hit I’ll show you. Il video ha raggiunto i 449 milioni di visualizzazioni, determinando un boom di presenze mai visto prima. «Questo canyon era praticamente sconosciuto prima dell’inizio della grande affluenza di persone, avvenuta proprio dopo l’arrivo di Bieber», ha dichiarato Daníel Freyr Jónsson, dell'Agenzia per l'Ambiente Islandese.
Il calpestio dei turisti ha trasformato Fjadrargljufur in “una fanghiglia praticamente inaccessibile”
«Da allora c’è stato un aumento dal 50 all'80 % tra il 2016 e il 2018». Il calpestio incessante dei visitatori ha trasformato l’area di Fjadrargljufur in «una fanghiglia praticamente inaccessibile», come spiegato dallo stesso Jónsson all’agenzia Afp.
Anche se di estrema attualità, il dibattito sul turismo di massa risale agli anni Ottanta. Il sociologo svizzero Jost Krippendorf, percependo le prime avvisaglie di tempesta, propose un modello di turismo sostenibile, volto a rendere il turista maggiormente consapevole delle proprie azioni, puntando il dito contro il paradosso di un’industria turistica che, distruggendo il proprio territorio, finisce col privarsi della sua risorsa principale. Se vogliamo evitare altre Budelli 2.0, è necessaria una nuova etica del turismo, al contempo ecosostenibile e rispettosa delle esigenze degli autoctoni.
I ladri di sabbia dimostrano che nel mondo globalizzato abbiamo bisogno di una nuova etica di viaggio
Uno strumento importante di cui avvalersi può essere la celebre No list stilata annualmente da Fodor's, che indica una serie di destinazioni da non visitare per evitare di minarne gli equilibri ambientali o politici. La lezione di Krippendorf appare ancora più attuale in seguito alla nascita di una nuova diaspora di snap-packers, foraggiata dall’impazzata di voli low cost e piattaforme di home sharing che, anno dopo anno, contribuiscono alla spersonalizzazione di centri cittadini meravigliosi e all’alterazione di ecosistemi delicatissimi. Quanti paradisi naturali dovremo perdere ancora prima di imparare a rispettarli?
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