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Dalla tazzina alla terra. La seconda vita del caffè
Dal terrazzo di Lucio il panorama è mozzafiato: il complesso monumentale di San Leucio, a Caserta, si erge sullo sfondo: luminosissimo, imperturbabile e in attesa di visitatori. Il palazzo fu voluto da Carlo di Borbone re di Napoli e di Sicilia, e divenne sede di un esperimento sociale senza eguali in Europa: artigiani da tutto il mondo vi risiedevano, la comunità aveva leggi e regole tutte sue (parità tra uomo e donna, meno ore di lavoro, prima scuola dell’obbligo). Un modello di giustizia ed equità in una società che tendeva all’utopia. Due secoli dopo Lucio, napoletano dal pollice verde, cura le piante ammirando il Belvedere e il Complesso monumentale dal suo terrazzo. E lo fa attraverso il riciclo dei fondi di caffè, ricco sottoprodotto della bevanda più amata dagli italiani, simbolo di questo territorio.
Utilizzare fondi di caffè per le piante
Lucio è un uomo colto, con una vita avventurosa da raccontare: «E il caffè mi ha sempre accompagnato nei momenti più importanti», spiega. Nella sua famiglia ci sono stati proprietari di bar e torrefattori, e anche Lucio ha avuto in gestione una caffetteria. Dal suo luminoso terrazzo ora Lucio racconta la seconda vita del caffè, un possibile riciclo intuito da imprenditore e messo in pratica da giardiniere amatore: «Sono sempre stato un amante dell’espresso. Ora ho scoperto che il caffè esausto è un toccasana per alcune piante», spiega Lucio. «Devo ammettere che ho notato il grande effetto che il fondo di caffè ha sui gerani parigini, sulla cycas, sull’aloe: in questi casi, con il caffè esausto, le piante rinverdiscono, è uno splendore per gli occhi». L’intuizione era arrivata, anni prima, nel suo vecchio bar: «Alcuni amici che hanno terreni agricoli venivano nel locale a chiedermi i sacchi con la posa di caffè: li utilizzavano per concimare ortaggi e agrumi. Così ho scoperto che il caffè esausto è un ottimo antiparassitario, tiene lontani gli insetti». Lucio descrive il suo metodo: ogni due settimane circa sfalda in acqua i fondi di caffè e, dopo averli diluiti, distribuisce la soluzione alle piante come un normale fertilizzante. «Un vero balsamo, soprattutto per le piante succulente».
Un metodo che ha già trovato l’approvazione degli esperti. A VD Angelo Gentili, responsabile Agricoltura di Legambiente, certifica che «il fondo di caffè contiene principi nutritivi sostanze utili: azoto, potassio e fosforo, che aiutano la fioritura e la maturazione delle piante». Per questo Legambiente guarda «con grande favore al riciclo del caffè esausto, che da rifiuto deve diventare risorsa». Secondo Gentili la polvere, diluita in acqua, è particolarmente adatta alle piante acidofile e ne facilita l’accrescimento: «Perfetta per azalee e rododendri, ottima se inserita in un compost domestico con altri scarti organici. Sul fondo di caffè rimangono sostanze nutritive ancora attive». Il consiglio è di far seccare il caffè esausto prima di utilizzarlo, «per evitare muffe. Poi lo si può diluire. In questo senso l’approccio illustrato da Lucio», spiega Angelo Gentili, «è encomiabile».
L’Italia in tazzine
Nel nostro paese il consumo di caffè è fra i più intensi al mondo: si stima che ogni cittadino italiano consumi, in media, 6 chili di caffè all’anno, una tazzina e mezza al giorno. Un piacere, secondo l’indagine Nielsen, al quale gli italiani «non sanno rinunciare». Per 4 persone su 10, infatti, il caffè rappresenta un imprescindibile momento di pausa e cinque persone su 10 lo consumano anche dopo cena. Il mercato relativo al consumo di caffè raggiunge cifre elevate (2 miliardi di euro circca se si considera la ristorazione) e la pandemia ha rilanciato ulteriormente il settore del caffè “casalingo”, secondo le stime dell’Iri.
Se cresce il numero di consumatori aumenta anche la loro consapevolezza ambientale: gli amanti del caffè sono sempre più attenti alla sostenibilità nelle loro scelte di consumo. Secondo uno studio AstraRicerche, infatti, è in aumento il numero di coloro che scelgono anche in base alle politiche ambientali e sociali delle aziende che producono e distribuiscono caffè. Orientamenti aziendali che, un giorno «potrebbero determinare le preferenze d’acquisto». Già oggi le aziende che garantiscono il rispetto dei lavoratori in tutte le fasi trovano e quelle che si impegnano contro la deforestazione (ad esempio con le cialde compostabili, che possono essere smaltite nell’umido) incontrano più agevolmente il favore e la preferenza dei consumatori.
Un nuovo modo di usare di fondo di caffè
Proprio da un caffè in cialda comincia la storia di Giovanna Ferrentino, professoressa salernitana, ingegnere alimentare e ricercatrice dell’Università di Bolzano. «Era in un momento di relax, mentre preparavamo un caffè in cialda, che abbiamo avuto l’intuizione. Ecco, ora dagli avanzi della preparazione di un espresso siamo riusciti a estrarre un olio». Un olio di caffè che nasce dalla bevanda più celebrata d’Italia (candidata come patrimonio immateriale dell’Unesco), apprezzata e servita soprattutto nella regione Campania dove Giovanna è nata e ha studiato. Un olio che potrebbe avere, nei prossimi anni, enorme impatto nell’industria alimentare. «Crediamo possa essere importante nella cosmesi farmaceutica. Ma potrei immaginare che la bottiglina d’olio possa essere venduta così, senza troppe lavorazioni», spiega Giovanna.
La dottoressa Ferrentino lavora nel team di ricerca del professor Matteo Mario Scampicchio, nella Facoltà di Scienze e Tecnologia dell’Università di Bolzano, e qui tiene il corso di Scienze degli alimenti per l’innovazione e l’autenticità. «Sono sempre stata, probabilmente anche per ragioni familiari e territoriali, una grande consumatrice di caffè. Ho studiato a Salerno, e già durante la formazione universitaria ho approfondito l’estrazione con anidride carbonica in condizione supercritica». Una metodologia conosciuta in un impianto ad Isernia in cui avviene la decaffeinizzazione. Quel metodo è ora applicato, a Bolzano, per estrarre «sostanze bioattive interessanti dal fondo di caffè. «Una volta recuperato il caffè dalle cialde ed essiccato, lo carichiamo nell’estrattore». La resa stimata è tra il 10 e 15% per 100 grammi di caffè. «Possiamo dire che ogni 50 caffè consumati, più o meno, ricaviamo 10 grammi d’olio. Un olio di caffè che potrebbe servire come preparato in pasticceria, così come l’olio di vinaccioli, o potrebbe essere utilizzato come olio essenziale per aromatizzare gli ambienti».
La seconda vita del caffè
Un ritorno sulle tavole e nelle case che sembrerebbe quasi naturale per la “seconda vita” del caffè. «Per me il caffè vuol dire stare insieme», spiega Giovanna. «E’ sempre stato così. Probabilmente le mie radici culturali, la mia terra e la mia formazione mi accompagnano nella ricerca che conduco, e nel lavoro. Un caffè significa anche lavorare meglio, vuol dire discutere di un argomento in modo costruttivo». Il progetto di ricerca diretto dal professor Scampicchio nasce da un’esigenza comune e riceve spinta inaspettata «da un aroma: diciamo che quando abbiamo cominciato a lavorare all’estrazione», conclude Giovanna, «ci siamo resi conto che, a differenza delle solite sostanze che circolano nei laboratori, e che spesso puzzano, c’era un profumo di caffè che metteva voglia di continuare a lavorare. Così siamo arrivati di buona lena a questo risultato. Poi ci siamo concessi un bel caffè».
Si ringrazia Caffè Borbone.
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