scuola pubblica
Perchè tagliamo la scuola pubblica e finanziamo quella privata?
Quando Corrado Stajano arrivò ad Africo per scrivere la famosa inchiesta sul villaggio di montagna spostato in riva al mare in seguito a una frana, ne descrisse con dovizia di particolari trame e potentati. Molti ruotavano attorno alla figura di don Stilo, prete sin troppo dedito alle occupazioni terrene. Il parroco, tra l’altro, aveva aperto un istituto privato e sognava di ingrandirsi fino al punto di portare in loco addirittura una sede distaccata dell’Università Cattolica. La scuola era diventata il centro del potere di don Stilo; titoli rilasciati generosamente erano la merce con cui il potente parroco conduceva i propri affari e trafficava favori e concessioni.
La storia di Africo ricorda perché una parte dell’Italia guarda, da sempre, con sospetto all’istruzione privata. Ritenuta “per ricchi”, nel migliore dei casi; nel peggiore, un insieme di diplomifici dove è possibile acquistare titoli di studio come si fa con un quadro da appendere in salotto, è stata da sempre al centro di aspri scontri. Gli istituti di qualità sono aumentati, ed è accaduto di pari passo con i controlli del Ministero. La discussione riprende quota con l’avvio dell’anno scolastico, l’autunno e la manovra finanziaria alle porte.
L'Italia ha adottato un sistema ibrido che privilegia il pubblico
La dialettica tra le forze politiche ha condotto all’odierno impianto, delineato dalla legge 62/2000: un sistema essenzialmente pubblico, con qualche correzione. Proviamo a chiarire. Parlare genericamente di scuole “private” è impreciso. Le scuole non statali, quelle – cioè – non gestite direttamente dal MIUR – si dividono in paritarie e non paritarie. Le prime svolgono un servizio pubblico, e proprio il riconoscimento della parità garantisce l’abilitazione a rilasciare titoli di studio con valore legale. Pur dotate di un certo grado di autonomia didattica, sono tenute al rispetto di determinati parametri, rientrano nel sistema nazionale di istruzione e sono impegnate a realizzare le finalità che la Costituzione assegna alla scuola.
Le scuole non paritarie, invece, bilanciano l’ampia autonomia con l’impossibilità di rilasciare titoli di studio con valore legale. E veniamo ai soldi. A essere finanziate da Roma sono esclusivamente le scuole paritarie. Oggi lo Stato versa nelle loro casse circa 500 milioni di euro ogni 12 mesi, cifra pressoché costante negli ultimi 15 anni. Denari che fanno gridare allo scandalo chi lavora e studia in edifici cadenti, privi di dotazioni tecnologiche minime e dove a volte manca persino la carta igienica. Milioni che, però, in realtà, rappresentano solo una frazione dei costi sostenuti nel servizio pubblico.
In Italia rischiamo di creare scuole di serie A e scuole di serie B
Il sistema scolastico statale, raccontava l’ex sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi in un’intervista a Skuola.net, conta circa 8,5 milioni di studenti, con una spesa di circa seimila euro all’anno per alunno, che sieda tra i banchi delle primarie o delle superiori. Le scuole parificate sono frequentate, invece, da un milione di studenti: per loro il Ministero versa, in media, solo 500 euro ogni dodici mesi. Il resto è a carico delle famiglie. Da questa prospettiva, conviene: se il sistema pubblico dovesse farsi carico anche di loro, spenderebbe molto di più.
Ma il ragionamento non tiene conto dei finanziamenti delle amministrazioni pubbliche non statali (come quelle regionali) e delle agevolazioni indirette, ad esempio i mancati introiti legati alle imposte non pagate sugli edifici. Ciliegina sulla torta, l’insegnamento della religione cattolica: l’abolizione totale, sostiene l’Unione degli Atei Razionalisti Italiani, consentirebbe risparmi per un miliardo e mezzo di euro l’anno. Soldi che sarebbero meglio destinati a riammodernare il patrimonio scolastico e gli edifici, sostiene l’organizzazione.
Abolendo il catechismo a scuola potremmo reinvestire un miliardo e mezzo all'anno nell'istruzione
Il compito di monitorare il livello qualitativo del sistema scolastico in Italia è affidato all’INVALSI, ente che somministra annualmente un test agli studenti di tutto il paese. Il quadro è preoccupante.
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Negli ultimi anni circa un milione di studenti ha abbandonato la scuola
Significa, in parole povere, che in Italia ci sono ancora scuole e regioni di serie A e di serie B. Una verità scomoda, spesso taciuta nel nome del politicamente corretto. Ma un dato oggettivo. Da tenere presente ogni qualvolta si decida di mettere mano alle politiche per l’istruzione.