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Violenza domestica nelle smart house
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In una casa controllata da Internet le aggressioni possono essere fatte da remoto
Non si tratta solo della sicurezza dei dispotivi hackerati, ma anche di quello che questi possono fare se “dirottati” su bersagli in Rete. È il caso di Mirai, il malware che nel 2016 ha infettato migliaia di dispositivi negli Stati Uniti per poi saturare servizi online con un numero eccessivo di richieste, effettuando un cosiddetto attacco Ddos che intasa le connessioni e manda offline i sistemi di ospedali e servizi pubblici. Se combattere virus e malware è compito di programmatori e sviluppatori di software di sicurezza, dietro all’uso di queste tecnologie si possono celare altre problematiche, legate alla presenza di rapporti oppressivi e asimmetrici nelle relazioni umane e in particolare famigliari.
È così che le smart home finiscono per essere l’ultima frontiera tecnologica della violenza domestica. In un lungo articolo del New York Times dell’anno scorso (che ha aperto il dibattito trovando altre conferme nei mesi successivi), i dispositivi connessi in casa sarebbero spesso utilizzati come strumento di controllo, sorveglianza e ricatto da parte di uomini verso la propria partner.
Anzi, spesso l'installazione di videocamere o serrature elettroniche avviene proprio allo scopo di esercitare questo tipo di controllo sulle conviventi. Le stesse linee di ascolto contro le violenze domestiche hanno registrato negli ultimi anni un crescente numero di denunce da parte di persone che avevano perso il controllo delle proprie abitazioni, proprio come nella scena della fortunata serie televisiva.
L’abuso tecnologico ha trasformato le smart home in armi in mano agli stalker e la legislazione stenta a stare al passo
In Canada Chantel Nelson è un'attivista di Toronto's Interval House, una rete di assistenza a donne vittime di "abusi tecnologici". «Sta diventando sempre più frequente» - dice Nelson un'intervista su Refinery29 - «ogni giorno nuove tecnologie escono sul mercato rendendo sempre più facile violare la privacy di qualcuno. Le persone stanno usando strumenti che non erano stati pensati per stalkerare o tracciare le loro vittime. Vittime che, il più delle volte, sono donne»».Una delle storie che Nelson racconta è quella di Ferial Nijem, una donna americana che è stata molestata dal proprio ex all’interno della propria abitazione. «Nel mezzo della notte mi sono stata svegliata insieme ai miei cani da una musica a tutto volume dell’impianto audio. Le luci e i televisori si accendevano e spegnevano a intermittenza» ha raccontato alla CBC.
Queste tecnologie sono sempre più diffuse, mentre la legislazione in tema di “smart stalking” stenta a stare al passo con i tempi. Nell'ultimo anno un team di ricercatori dell'Università di Londra ha compilato una lista di siti e strumenti utili per riconoscere se sui dispositivi digitali, come smartphone o tablet, siano installati software di geolocalizzazione o tracking. Certamente, un problema come questo è qualcosa che trascende la sicurezza informatica o le caratteristiche di fabbrica dei dispositivi. Spesso per le persone colpite è difficile spegnere o disinstallare questi strumenti, perché vivono in una condizione di relazione tossica e violenta che potrebbe acuirsi e sfociare in situazioni via via più complicate. Come per il cyberbullismo o per le persecuzioni sui social, anche nel caso delle molestia da iper-connesione siamo davanti a tecnologie che rendono esplicito un problema sociale, e portano nel dibattito pubblico dinamiche che sono purtroppo sempre state presenti, radicate nei rapporti di una società ancora intrisa di sessismo, bullismo e discriminazioni.