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La sindrome da burnout colpisce anche nello sport

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Era la numero uno, la migliore tennista al mondo. Ashleigh Barty, 25 anni, australiana, ha sorpreso tutti decidendo di ritirarsi all’apice della carriera, con tanti anni di potenziale professionismo ancora da vivere. «Sono esausta. La mia felicità non dipende dal risultato. Ho detto alla mia squadra che non ho più la forza per tirare fuori il meglio da me stessa. Non ho più niente da dare e per me è un successo: ho dato tutto», ha detto, rivelando il suo personale burnout.

Il burnout tra gli sportivi

In carriera Barty ha vinto tre eventi del Grande Slam nel singolo, fra i quali l’Australian Open a gennaio del 2022: una vittoria che l’ha resa la prima giocatrice di casa a vincere il titolo degli Australian Open in 44 anni. La vittoria di Wimbledon 2021, rivela, «ha cambiato la mia prospettiva» perché dopo aver raggiunto il suo obiettivo personale si sentiva ancora insoddisfatta. Ora si dedicherà ai suoi sogni, che evidentemente, nonostante le prestigiose vittorie, non sono ancora stati realizzati.

Sono sempre di più i casi di sindrome da burnout tra gli atleti, anche di caratura internazionale. Prima di Ashleigh Barty erano stati il nuotatore Michael Phelps, Kevin Love nella pallacanestro e Brandon Marshall nel football americano a parlare d’ansia, depressione e disturbo borderline di personalità. Proprio nel mondo del tennis le parole di Ashleigh erano state precedute da quelle dalla campionessa Venus Williams: «Tutti noi affrontiamo le sfide della salute mentale derivanti dalle inevitabili battute d'arresto e incertezze della vita. Viviamo anche in una cultura che glorifica l'essere maniaci del lavoro, dove i rischi di burnout sono spesso ignorati e dove, ammettiamolo, che tu sia dentro o fuori dal campo, vincere è tutto».

Come nasce il burnout, nello sport e non solo

Di depressione e burnout in ambito sportivo, e non solo, VD ha parlato con la psicologa Annalisa Battisti. «Avere una carriera agonistica, soprattutto ad altissimi livelli come nel caso di Barty, può essere molto stressante e non sempre si riescono a sostenere certi ritmi», spiega la dottoressa Battisti. «Quello che fa la differenza a questi livelli è il grado di determinazione. Per ottenere grandi risultati talvolta sono più importanti le caratteristiche mentali rispetto a quelle fisiche, e arriva ai successi chi ha più spirito di sacrificio e chi è più portato a quello stile di vita».

Intraprendere una carriera agonistica, ricorda Battisti, «vuol dire rinunciare, soprattutto per i giovanissimi, a una parte di socialità e solo se sei molto determinato si può sostenere». Sembra il caso di Barty, appunto, che ha rivelato di aver “dato tutto” e di non essere più disposta a rinunciare a quelle che possono essere definite “le piccole gioie della vita”. «Non sempre si riesce a capire in modo così lucido a cosa si rinuncia», spiega la psicologa. «Molte volte una certa spinta sociale (magari l’allenatore o la famiglia che ci ripete che siamo portati o talentuosi) ci indirizzano verso una carriera nella quale magari non ci riconosciamo, ma lo si capisce solo dopo, quando le energie si esauriscono».

Tra alimentazione controllata, vita sociale regolata e continue pressioni agonistiche «gli atleti hanno poche parentesi in cui si sentono veramente liberi», sottolinea Battisti. «Prima magari la vita di uno sportivo sembrava un sogno per molti giovani, rispetto a quella di un giovane – diciamo così – “ordinario”. Ora ci sono tante opportunità e non tutti vogliono rinunciarci».

Burnout: quali sono i sintomi e quando intervenire

Che siano sportivi o lavoratori impegnati in altri settori, i sintomi del burnout incombente sono simili. Li elenca la dottoressa Battisti: depressione, mancanza di stimoli e di motivazioni, disturbi del sonno e dell’umore, stanchezza, inappetenza, irritabilità, cinismo. Ancora prima si ha la percezione di un carico di lavoro sempre maggiore. «Ci si ritrova senza motivazioni per quello che viene visto come un lavoro ripetitivo e poco stimolante. Questa fase ha solitamente ripercussioni su tutti gli aspetti della propria vita, anche quelli delle relazioni familiari». Nel caso degli sportivi, all’esaurimento si accompagna un ridotto senso di realizzazione e la svalutazione dello sport stesso (circostanza che porta poi l’atleta a essere più incline agli infortuni).

Secondo la psicologa è importante accorgersi della mancanza di motivazioni in tempo, prima che si verifichi il burnout. A quel punto «occorre andare alla radice facendosi aiutare da un professionista. Anche interrompendo drasticamente il rapporto lavorativo, infatti, si rischia di entrare in una spirale di frustrazione e insoddisfazione che può proseguire anche negli impieghi successivi, se prima non si arriva a capire cosa è accaduto».

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