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I Simpson, da leoni a gattini
È il 1977, i Simpson non esistono ancora e Matt Groening è un giovane ventitreenne che tenta di sbarcare il lunario lavorando come commesso in un anonimo negozio di dischi. Negli ultimi tempi, però, qualcosa è cambiato: da qualche mese, il suo nome circola prepotentemente all’interno del circuito underground di Los Angeles. Il motivo di questa escalation di notorietà è da attribuire alla pubblicazione di una striscia a fumetti che Matt ha realizzato durante le lunghissime ore di solitudine trascorse in negozio, capitalizzando i tempi morti tra la vendita di un vinile dei Talking Heads e l’altro.
Da Life in Hell ai Simpson
Il fumetto si chiama Life in Hell, ha come protagonisti tre conigli antropomorfi il (Binky, la sua ragazza Sheba e Bongo, il figlio “non programmato” di Binky) e una coppia di amanti incestuosi (Akbar e Jeff), è un monumento al nichilismo e, soprattutto, trasuda politicamente scorretto da tutti i pori. Le atmosfere cupe e i personaggi strampalati di Life in Hell costituiranno il retroterra su cui Matt Groening costruirà la sua prima (e più celebre) creatura televisiva: i Simpson.
I toni dissacranti e anarchici che hanno caratterizzato i Simpson fin dal primissimo episodio della stagione 1, andato in onda nella serata del 17 dicembre del 1989, quando milioni di spettatori hanno conosciuto per la prima volta Homer, Bart, Marge, Meggie, Lisa e il cane più famoso d’Occidente, Santa's Little Helper, sono ormai un lontano ricordo, il retaggio di un’epoca in cui la licenziosità sul piccolo schermo poteva ancora essere tollerata. Oggi siamo giunti alla stagione 30, e dobbiamo prendere atto che il tempo non è stato per nulla galantuomo: i Simpson non ci rappresentano più.
I Simpson, trent’anni dopo
“Non si esce vivi dagli anni Novanta”, verrebbe da dire: la “tendenza al politicamente corretto” (sempre che ne esista una) non ha risparmiato nessuno, neppure uno degli show più irriverenti della televisione americana, costringendo alla damnatio memoriae lo stesso Matt Groening che, soltanto vent’anni fa, poteva rivendicare fieramente di essere felice di “far incazzare qualcuno di puntata in puntata”. Oggi i Simpson sono decisamente meno Life in Hell e molto più Cesaroni.
Le polemiche nate attorno alla figura di Apu, e il j’accuse con cui il comico americano Hari Kondalbolu ha apertamente avversato caratterizzazione razzista del personaggio nel documentario The problem with Apu, dimostrano come, attualmente, sia sempre più difficile riuscire a individuare un equo bilanciamento tra il rispetto di tutte le sensibilità in gioco e la necessaria tutela della libertà creativa.
Il caso Apu
Da un lato, infatti, è innegabile che Apu sia un personaggio stracolmo di stereotipi negativi: tende a “fare la cresta” sui prezzi dei prodotti che vende, non sembra farsi troppi scrupoli prima di rifilare della merce scaduta ai propri clienti, ha un fucile sotto il bancone pronto a impallinare eventuali ladruncoli, ha contratto un matrimonio combinato con Manjula, compagna di fede nonché sua promessa sposa da quando era in fasce. Insomma: Apu incorpora tutti gli elementi idonei per far storcere il naso ai milioni immigrati di origine asiatica presenti negli Stati Uniti, che hanno il pieno diritto di sentirsi offesi dal doversi immedesimare in così tanti luoghi comuni puntata dopo puntata.
Dopodiché, però, non bisogna perdere di vista il contesto storico in cui i Simpson hanno visto la luce: era il 17 dicembre del 1989. La globalizzazione era ancora in pieno divenire, il mondo era diviso in due blocchi e la serialità televisiva (ovviamente, ci riferiamo a quella mainstream) era dominata dal piattume più totale, perlomeno in fatto di animazione. Fu proprio quella carica dirompente che spinse un intellettuale di primo piano Umberto Eco a dichiarare: «Homer c' est moi». I Simpson non sono stati uccisi da quella “dittatura del politicamente corretto” richiamata a più voci da centinaia di articoli di opinione, ma dalla strenua volontà di perpetuare una serie che, oggi, di attuale non ha più nulla. La necessità di un funerale dignitoso – rimandato per troppo tempo –, che possa congedare la sit-com dalle scene senza eccessivi contraccolpi, sembra ormai inderogabile
I 10 migliori episodi de I Simpson
- Si trasloca solo due volte (8x02)
- Il promontorio della paura (5x02)
- Marge contro la monorotaia (4x12)
- L’orsetto del cuore (5x04)
- Occhio per occhio, dente per dente (4x17)
- Mr Spazzaneve (4x09)
- 22 Cortometraggi di Springfield (7x21)
- Chi ha sparato a Mr. Burns (6/7x25/01)
- La Paura fa Novanta V (6x06)
- Homer l’acchiappone (6x09)
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