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Perché l'Italia ha un problema con le serie tv
Sarà perché siamo un popolo di anziani, sarà perché, dagli anni Cinquanta la televisione, intesa come fulcro della vita domestica, non è cambiata, sarà perché non c’è lavoro per nessuno, figurarsi per gli sceneggiatori; ma la realtà è che in Italia facciamo davvero fatica a produrre serie tv di qualità. Le eccezioni ci sono: prodotti come L’ispettore Coliandro, L’amica geniale, Rocco Schiavone, Il nome della rosa e l’ormai mitica Boris sono nomi che alzano il livello di un panorama generale che, altrimenti, sarebbe piuttosto desolante. La televisione italiana, per quanto concerne la serialità, è popolata da preti, suore, poliziotti idealisti e famiglie borgatare dal cuore grande come I Cesaroni.
Le serie tv italiane sono tutte uno stereotipo
Un riciclo di idee che tenta di specchiarsi e allo stesso tempo di influenzare la società italiana, che si vorrebbe tutta casa, chiesa e tv, con il mito della famiglia mediterranea caciarona e affettuosa. Quello che i grandi produttori di serie tv italiane (di cui parleremo presto) non sanno, è che la nostra società è ormai l’opposto di ciò che vorrebbero: una grande fetta di pubblico ha ormai abbandonato la cara vecchia tv generalista, utilizzando l’ex tubo catodico unicamente in funzione smart per vedere le serie tv straniere sui canali streaming. E davanti a prodotti come Breaking Bad, Game of Thrones, persino The Walking Dead, ultimamente in declino, ma anche produzioni meno mastodontiche e più “a portata di italiano” come Modern Family, le serie tv italiane di maggior successo commerciale scompaiono. Le ragioni ipotizzabili sono due: in primis la maggiore apertura mentale (e i maggiori finanziamenti) dei colossi delle tv private Usa, che dai tempi di Lost dettano legge al resto del mondo.
I nostri maggiori successi non reggono il confronto
In secondo luogo, la struttura produttiva delle serie tv italiane, che relega i giovani talenti nella precarietà e nell’incertezza puntando su prodotti comprovati e rassicuranti, per un pubblico anziano e abitudinario. Facendola molto semplice: in Italia esistono due emittenti che dettano legge, Rai e Mediaset. Un’impostazione atavica, talmente impressa nel dna dello spettatore da essere ormai pre-impostata sul telecomando: i primi sei canali appartengono tutti a questi due giganti. Fa eccezione La7, posizionata strategicamente sul settimo. Un’impostazione atavica, talmente impressa nel dna dello spettatore da essere ormai pre-impostata sul telecomando: i primi sei canali appartengono tutti a questi due giganti. Fa eccezione La7, posizionata strategicamente sul settimo.
La mancanza di competizione
Questi grandi colossi, quando producono serie tv, non chiedono a uno sceneggiatore se ha un’idea nuova nel cassetto: le storie vengono cucite su misura sul grande attore, Claudio Amendola, Lino Banfi o Elena Sofia Ricci che sia, e lo spettacolo è assicurato. Basta il nome ad attirare lo spettatore, che è sempre più anziano e abituato a una televisione rassicurante, che rispecchi gli ideali conservatori in cui crede. La stesura delle serie tv viene attentamente supervisionata in ogni suo aspetto dal network, che può decidere di stravolgere ciò che ritiene respingente.
Lo spettatore italiano è sempre più anziano
Gli altri canali privati fanno tranquillamente a meno delle serie tv, optando per un diverso tipo di serialità: prodotti come Quattro ristoranti, Cortesie per gli ospiti o Camionisti in trattoria sono economici da girare, si scrivono da soli e assicurano un pubblico ormai fidelizzato a questa nuova tv di sapori ed economia domestica. In Italia le nuove idee fanno fatica a circolare, in campo seriale come in molti altri, perché la nostra società è saldamente in mano a un’élite di padri costituenti della tv italiana, che non permettono a nessuno di scalfire i valori granitici dei loro network, neanche se fosse l'ultima risorsa disponibile.
E lo streaming?
Perché il modello diarchico della televisione italiana è destinato a collassare su se stesso da qui a un paio di decenni: ce li vedete, i ventenni e trentenni di oggi, cresciuti a Six Feet Under e The Big Bang Theory, divorare la centunesima stagione di Don Matteo o formulare teorie su Che Dio ci aiuti? Sky e Netflix Italia stanno agitando le acque con produzioni come The Young Pope, Gomorra, Suburra e promettono di avere appena iniziato a stupirci. Ma per arrivare a un livello di produzioni pari a quello statunitense o inglese, per le serie tv italiane la strada è lunga e piena di terrori.
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