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Come resta a casa per il coronavirus chi non ha una casa?

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Il regime di quarantena cui, giocoforza, saremo sottoposti per le prossime settimane per evitare la diffusione del contagio da coronavirus , sta mutando le nostre modalità d'interazione sociale, stravolgendo il rapporto con lo spazio, imponendoci il mantenimento di distanze ben precise e costringendoci a rimanere confinati all’interno delle mura domestiche. Tuttavia, per chi può contare su un reddito e un tetto, affrontare la clausura non è poi un dramma: c’è chi telelavora da casa, chi organizza dirette interminabili con amici e parenti su Discord per provare a trovare un antidoto alla solitudine e chi ha colto l’occasione per rispolverare passioni sopite, come la lettura, il cinema, la musica o il disegno. La situazione, però, è diametralmente opposta per chi si ritrova a vivere per strada, e non può contare su questo tipo di consolazioni.

La situazione dei senzatetto a Milano

Milano, da questo punto di vista, rappresenta un osservatorio di assoluto interesse: i senzatetto presenti in città, secondo un’indagine condotta dall’Università Bocconi del 2018, ammontano a 2608; di queste 587 persone vivono in strada, mentre 2.021 in strutture di accoglienza notturna. Come dimostrato dalle statistiche, il capoluogo lombardo ha indubbiamente compiuto passi in avanti importanti in termini di solidarietà; tuttavia, garantire il diritto alla salute ai soggetti senza fissa dimora sarà una delle sfide più urgenti che l’amministrazione cittadina sta affrontando in queste settimane.

Anche perché i cortocircuiti logici, purtroppo, non mancano: negli ultimi giorni, i verbali redatti ai senzatetto per violazione dell'articolo 650 del Codice penale hanno iniziato ad aumentare in maniera preoccupante. La sanzione dovrebbe essere giustificata dal mancato obbligo di restare in casa per contenere la diffusione del coronavirus, ma i destinatari sono clochard, che per definizione non possono restare a casa, semplicemente perché una casa non ce l’hanno.

Milano è un osservatorio speciale per i senzatetto e il coronavirus
Milano è un osservatorio speciale per i senzatetto e il coronavirus

L’appello di Avvocati di strada

Intervistato dall’Agi, presidente dell’associazione Avvocati di strada, Antonio Murolo, ha definito la situazione come “paradossale”, invitando il governo a tenere conto della particolare situazione di indigenza delle migliaia di homeless che affollano i nostri centri cittadini ormai desertificati: «Bisogna fare in modo che il presidente del Consiglio insieme al ministro dell’Interno emani una circolare a tutti i Prefetti e Questori, specificando che non può essere denunciata una persona se una casa non ce l’ha, perché è costretta a stare in giro ed è dunque impossibilitata a rispettare questa norma.»

«Diciamo da più di 20 anni che chi vive in strada ha bisogno di una casa e di una residenza per potersi curare ma oggi, ai tempi del coronavirus, queste necessità assumono una drammatica urgenza».

La polizia è costretta a multare i senzatetto
La polizia è costretta a multare i senzatetto

Le misure adottate dal Comune di Milano

Abbiamo chiesto all'ufficio di Gabriele Rabaiotti, Assessore per le politiche sociali e abitative del capoluogo lombardo: «Il Comune di Milano ha tenuto aperti i centri attivi per il Piano Freddo 2020, che sono 2700 e resteranno aperte tutto il giorno fino al 3 aprile al momento, in modo che anche i senzatetto possano rispettare l’ordinanza. Inoltre, in collaborazione con Emergency, c’è un team medico che effettuerà screening sanitari ai senzatetto, che consistono, fra le varie cose, nel misurare la febbre, controllare la capacità respiratoria, accertarsi che non ci sia un inizio di polmonite etc. Lo screening medico è previsto anche per la durata della permanenza. La permanenza è volontaria, le strutture al momento non sono piene. Per chi resta fuori, facciamo andare in giro le unità mobili di croce rossa e arca che monitorano i senzatetto che stanno fuori. La capienza della mensa è stata ridotta per mantenere le distanze di sicurezza».

Sono giorni in cui gli appelli all’unità nazionale si sprecano, a suon di messaggi di fratellanza e solidarietà, hashtag incoraggianti (#celafaremo) e inni nazionali cantati a squarciagola dai balconi: sembra quasi che, proprio nel momento più difficile, stiamo finalmente imparando ad agire in maniera solidale, ad anteporre la comunità all’individuo, a comportarci come una nazione nel significato più nobile del termine. Proprio per questo, non possiamo dimenticarci di chi, in queste settimane di coronavirus, si trova ad affrontare la pandemia senza neppure un tetto sulla testa.

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