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speculazione edilizia

In Italia ci sono milioni di case vuote e migliaia di persone per strada

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Nell’Unione europea sono circa 700mila le persone senza una casa. Una cifra da capogiro se si pensa che il fenomeno è cresciuto del 70% solo negli ultimi dieci anni. Diritto all’abitare negato, dunque: per molti europei, la casa resta un traguardo difficile da raggiungere e da mantenere, soprattutto in tempi di Covid. Eppure nuove gettate di cemento nascondono i tramonti, dentro e fuori le nostre città: nel 2019, la richiesta di permessi per la costruzione di nuove abitazioni in Italia era pari a 54.739, in aumento rispetto all’anno precedente (dati Istat). Ma mentre si costruisce e si lasciano le case vuote, in strada ci sono più di 51mila italiani senza fissa dimora. Sullo sfondo un’Europa figlia della Carta sociale del 1961, che tutela espressamente l’abitare: paradosso all’italiana, fallimento europeo.

Povertà abitativa, dignità negata

Secondo il dossier Casa, bene comune. Il diritto all’abitare nel contesto europeo, pubblicato da Caritas, in Italia oltre 1,8 milioni di famiglie vivono in condizioni di povertà assoluta, mentre più di 3 milioni di famiglie hanno i titoli per essere incluse nella fascia di povertà relativa, cioè quella che tiene conto del livello economico medio di vita del Paese. Ma è chi vive in affitto ad affrontare una situazione più critica. Sono infatti circa 850 mila famiglie povere in locazione, quasi la metà di tutte le famiglie povere, con condizioni più difficili nel Meridione. Poco meno del 30% dei nuclei familiari è proprietario dell’abitazione in cui vive, e per mantenerlo spende in media, secondo l’Eurostat, il 40% dello stipendio. Il tutto a fronte di un’edilizia popolare che risponde solo a un quinto del mercato d’affitto e che costituisce solo il 4% del patrimonio abitativo nazionale. E in effetti, l’Italia riserva alle politiche abitative solo lo 0,06% delle proprie spese per il welfare, contro il 2,05% della Germania e il 2,62% della Francia. Numeri che se si vanno a sommare alle case che restano, invece, vuote o inutilizzate, restituiscono la fotografia di un Paese che tende ad accumulare, ma dalla parte sbagliata. Secondo il censimento del cemento avviato il 2013 dal forum Salviamo il paesaggio, rete formata da comitati locali, il 30-40% del patrimonio edilizio esistente resta sfitto, mentre la capacità insediativa residenziale prevista dai piani regolatori è maggiore del 76% rispetto alla reale crescita della popolazione. Insomma, si prevede di costruire di più ma per meno persone.

Consumo del suolo e traguardi mancati

Le indagini Ispra hanno rivelato che «ogni abitante del nostro Paese oggi ha in “carico” 355 metri quadrati di superfici occupate da cemento, asfalto o altri materiali artificiali, un valore che cresce di quasi 2 metri quadrati l’anno, con la popolazione che, invece, diminuisce sempre di più». Considerando il calo delle nascite, è come se avessimo costruito 135 metri quadrati per ogni nato nel solo 2019. Segno che il consumo di suolo nelle aree urbane e periurbane è destinato a sforare i paletti fissati dall’Onu per uno sviluppo sostenibile. Le Nazioni Unite prevedevano infatti un’armonizzazione fra demografia e costruzioni entro il 2030. Un traguardo che adesso appare irraggiungibile non solo per l’Italia ma anche per molti Paesi europei. E intanto l’Italia si riconferma come il Paese degli sprechi economici e ambientali. Ma allora, perché si costruisce? Secondo gli studiosi di marketing immobiliare, non si costruisce più per la domanda sociale: la rendita fondiaria, poi immobiliare, è diventata finanziaria, a eccezione della porzione destinata al riciclaggio di capitale illegale. Un problema acuito dal fatto che il patrimonio immobiliare è per l’80% in mano ai privati. Lontano dai controlli. La soluzione è sulla punta della lingua di tutti ma nessuno osa parlarne: una leva patrimoniale progressiva che scoraggi lo sfitto. Un’idea troppo perbene nel Paese degli speculatori.

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