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Sardine e Fridays, la società riprende le piazze senza i partiti
Le Sardine dominano le prime pagine dei giornali, occupano i salotti dei talk show televisivi e riempiono la maggior parte delle piazze italiane, condividendo questi spazi con i loro fratelli più giovani Fridays For Future, due generazioni e due movimenti che, al netto delle differenze, hanno alcuni importanti punti in comune.
Le Sardine: da Facebook al cuore della piazza
Non è trascorso neppure un mese dalla manifestazione bolognese del 14 novembre che, per la prima volta, ha proiettato il movimento fondato da Mattia Santoni, Roberto Morotti, Giulia Trappoloni e Andrea Garreffa alla ribalta dell’attenzione mediatica. Nel frattempo, quello che sembrava poco più di un fenomeno di folklore si è trasformato in una delle più riuscite operazioni di organizzazione del dissenso degli ultimi vent’anni: le sardine hanno occupato il centro del dibattito pubblico e permeato il nostro immaginario politico.
Da allora, le accuse nei loro confronti si sono moltiplicate:
- Di populismo
- Di semplificazione
- Di fare propaganda
Ma che cosa sono, davvero, le Sardine? Non possiamo fornire una risposta esauriente, ma possiamo procedere per esclusione e concentrarci su ciò che non sono. E, come tendono spesso a specificare, non sono un partito.
Le Sardine non sono un partito
Uno dei primi elementi a balzare all’occhio è proprio la rivendicata apartiticità del movimento. Questo tratto costitutivo è menzionato esplicitamente dall’articolo 6 del Manifesto dei valori delle Sardine, che recita: «Nessuna bandiera, nessun insulto, nessuna violenza. Siamo inclusivi» e li accumuna ai più giovani Fridays for Future.
Pur collocandosi in un orizzonte che potremmo definire “di sinistra”, la mancata (o, comunque, non direttamente annunciata) affiliazione politica delle Sardine rappresenta uno degli elementi chiave del loro successo; in poco più di una settimana, sono riuscite a imporsi come il perno su cui poggia l’intera opposizione antileghista, che ha ritrovato nei 15mila di Piazza Maggiore (e nei loro proseliti) una specie di ancora di salvezza ideologica, libera da qualsiasi legame partitico e, proprio per questo motivo, di più semplice e immediata adesione. Il messaggio è chiaro: per sposare la causa delle Sardine, non è necessario scervellarsi più di tanto, è sufficiente condividere un concetto generico di fondo (che potremmo riassumere in un telegrafico “no al populismo”) e un sentimento di riluttanza nei confronti di un leader politico (Matteo Salvini). Il gioco è fatto.
Sardine e Fridays for Future
L’apartiticità è, come abbiamo detto, uno dei tratti distintivi del movimento Fridays For Future. La loro carta d’intenti è piuttosto chiara sul punto, statuendo che FFF «non porta rivendicazioni specifiche di un partito, bensì di una base sociale variegata e inclusiva». Anche in questo caso, la scelta di non schierarsi apertamente sembrerebbe essere funzionale al raggiungimento di un quantum di partecipazione sempre più elevato: a prescindere da bandiere e simboli, l’obiettivo principale è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica su una tematica prepolitica, i cambiamenti climatici, esattamente come prepolitica è la causa delle Sardine («cambiare l’inerzia della retorica populista»).
I due movimenti sono così riusciti a intercettare la frustrazione tipica di tutti coloro che, in Italia, non riescono a individuare un'opzione politica che sia in grado di rappresentarli adeguatamente, mettendo in luce una volta di più quel clima di sfiducia nei confronti dei partiti tipico del nostro Paese: la “maggioranza silenziosa” degli astenuti sembra aver ritrovato una casa accogliente e un nuovo motivo di partecipazione nella “rivoluzione ittica” delle Sardine; similmente, milioni di studenti hanno scelto di scioperare il venerdì per rivolgersi direttamente ai governi, chiedendo a gran voce azioni concrete contro i cambiamenti climatici e reclamando il proprio diritto al futuro: i due movimenti sono espressione di una società civile che, per perseguire i propri obiettivi, sembra preferire far fronte comune, piuttosto che accontentarsi di delegare il proprio dissenso alla mediazione dei partiti.