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I riders devono scegliere tra lavoro e coronavirus
Strade deserte, ristoranti chiusi, ma i riders sfrecciano ancora per le nostre strade. Tra i controsensi che l'allerta coronavirus ha messo in evidenza, c'è proprio quello dei fattorini del food delivery. Precari per natura, i riders sono i lavoratori della gigeconomy che abbiamo imparato a conoscere meglio in questi ultimi anni e che, ora più che mai, provano a far sentire la propria voce nel silenzio delle grandi e piccole città.
Le condizioni dei riders
La battaglia dei riders comincia da ben prima dello scoppio del coronavirus. Lo sa bene Lorenzo Righi di Riders Union, l’associazione sindacale nata a Bologna che da più di due anni combatte per i diritti lavorativi di chi consegna cibo a domicilio. E dopo aver combattuto contro il cottimo, nel mentre di una guerra ancora aperta per la regolarizzazione dei contratti a lavoratori dipendenti, ecco lo scoppio della pandemia: «La situazione è decisamente paradossale» racconta Righi, che aggiunge: «Dal punto di vista contrattuale, non essendo dipendenti, non abbiamo nessun tipo di ammortizzatore sociale che, in casi di epidemia o emergenza come questo, ci possa proteggere.»
«Per quanto riguarda il lavoro in sé, le consegne stanno precipitando: hanno ridotto gli slot per turno, non è che si guadagni poi tanto, ma ci sono comunque delle situazioni che si verificano che ci mettono a rischio». Uno dei problemi, infatti, resta quello delle file che gli stessi riders fanno in attesa di una consegna: «Si creano assembramenti di fronte ai locali, più che la questione mascherine - che come hanno detto le autorità sanitarie, servono relativamente - è questo l'aspetto che mette maggiormente a rischio la nostra salute. Perciò chiediamo "basta alle consegne"».
Tra la quarantena e la fame
Parole dirette, che trovano eco anche nell’ultimo appello lanciato su Facebook da Riders Union, ma che non bastano forse a spiegare il paradosso di chi vorrebbe stare a casa per salute, ma non può farlo senza smettere di guadagnare il minimo per vivere. Un ricatto al quale nessun lavoratore dovrebbe essere sottoposto, come spiega ancora Righi: «Per me potrebbe essere un problema minore, non ho una famiglia da mantenere e posso adattarmi per qualche settimana senza lavoro. Ma non posso ragionare solo sul mio caso. Ad esempio, ho un amico pakistano che ha cinque anni più di me e, con i soldi delle consegne, ci mantiene la famiglia che non vive in Italia».
Danni ai quali si aggiungono quelli quotidiani. La paura del contagio è palpabile in coda al supermercato, figurarsi quando si apre la porta ad un “estraneo”: «La diffidenza è reciproca – ammette Righi con onestà -, tra noi e il cliente. Si vede che il timore c'è da tutte due le parti. Le regole che ci hanno dato sono di mantenere un metro di distanza e di creare quella separazione con il cubo, ma io ad esempio lascio la consegna sul pianerottolo, per evitare qualsiasi tipo di contatto. Le mance? Scarseggiavano già prima, poi tanti usano direttamente l'applicazione per lasciarla».
Precari in ogni senso
Molti si fermano spontaneamente, altri, come nel caso della Campania, sono stati bloccati direttamente dalle istituzioni. Ma tanti altri, invece, continuano: «Pensare che la consegna della pizza o dell'hamburger rientri nei servizi di prima necessità, lascia un po' perplessi. Quel che ci fa però veramente arrabbiare, è che se chiediamo una sospensione del servizio sappiamo anche che non abbiamo garanzie di continuità di reddito. Come tanti altri precari, stiamo chiedendo un reddito di quarantena apposta, così da poter stare a casa anche noi. Chiediamo aiuto allo Stato, perché le aziende non ci vengono incontro».
Anzi, hanno liquidato i riders con un videotutorial ed un supporto economico per chi contrae il coronavirus: «Mi fa ridere, perché dovrebbero prevenire il contagio, non darti il contentino dopo» chiosa Righi. Potrebbe però esserci un valore sociale, considerando che - ad esempio con Glovo - si possono sfruttare servizi di consegna anche per farmacie e supermercati. Ma i riders non sono, giustamente, obbligati a fare gli eroi: «Medicinali e cibo garantiti sono una prerogativa della Protezione Civile, non possiamo prenderci noi questa responsabilità».
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