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Perché regolarizzare gli immigrati è la scelta giusta. Per tutti noi

Senza cure e senza diritti, lasciati a bivaccare ai margini delle periferie sociali, gli immigrati sono la carne da cannone della pandemia di coronavirus. Abbiamo fermato la nostra economia con la quarantena, per tutelare la salute pubblica, ma non siamo disposti a regolarizzare chi lavora nei campi o nelle nostre case, in un cortocircuito di ipocrisia e di malcelato razzismo: l’emergenza sanitaria è di tutti, nessuno escluso. Ecco perché una sanatoria è un atto di buonsenso, oltre che di giustizia.

La situazione nelle baraccopoli

In Italia gli immigrati irregolari sono 770.000, di cui almeno 160.000 stipati nei ghetti. Un numero altissimo, in parte frutto dei decreti sicurezza che hanno reso più stringenti le regole per ottenere permessi di soggiorno, anche stagionali. Una schiera di fantasmi agli occhi dello Stato che rischia di trasformarsi in una bomba sanitaria ancor prima che sociale. Come ci spiega, Jean René Bilongo, ex bracciante e sindacalista Flai Cgil, «se dovesse scoppiare un focolaio nei ghetti, non avremmo le risorse per fermarlo e consegneremmo i migranti a un destino segnato, perché gli irregolari hanno diritto solo a cure essenziali e urgenti, una definizione molto fumosa».

Rosarno, Calabria, 2018
Rosarno, Calabria, 2018

Insomma, una regolarizzazione sarebbe necessaria non solo per tutelare l’incolumità individuale degli immigrati, ma anche per salvaguardare la salute collettiva. «La situazione, dal punto di vista della salute, è molto precaria. Nelle baraccopoli spesso non c’è nemmeno l’acqua, ci sono solo immense distese di catapecchie. Ecco perché avevamo chiesto al governo di intervenire immediatamente per mettere in sicurezza quelle che, prima di essere irregolari o immigrati, sono persone. Il Dpcm del 9 marzo permetterebbe, infatti, di requisire le strutture, come le caserme, dove sarebbe possibile rispettare la distanza di un metro e le norme igieniche». Ma al momento nessun passo è stato fatto in questo senso.

L’emergenza sanitaria nei ghetti e nelle nostre case

Nelle baraccopoli spesso si cammina tra spazzatura alta un metro e mezzo, topi e pozzanghere. Per lavarsi e bere si fanno anche due ore a piedi. «In queste condizioni è impossibile una qualsiasi norma minima di igiene personale», ci spiega Ilaria Zambelli, coordinatrice del progetto Terragiusta di Medici per i Diritti Umani. «Sono situazioni in cui possono proliferare eventuali focolai: all’interno della tendopoli di San Ferdinando, ad esempio, vivono anche otto persone per tenda, mentre nei cosiddetti insediamenti informali, i casolari sparsi per la campagna, c’è un maggior grado di promiscuità e spesso mancano sia acqua che elettricità.

Rosarno, Calabria, 2018
Rosarno, Calabria, 2018

Insieme ad altre organizzazioni ci siamo impegnati nella distribuzione di gel igienizzanti per le mani e mascherine chirurgiche, senza le quali non si può entrare nei supermercati. Molti immigrati, inoltre, hanno paura a rivolgersi ai servizi sanitari perché potrebbero essere denunciati per mancanza di documenti». Anche badanti e colf irregolari sono prive di qualsiasi tutela. «Sono le più esposte dal punto di vista sanitario, perché a diretto contatto con gli anziani», fa sapere Rita De Blasis di Api-colf. «Il numero di collaboratrici domestiche morte di coronavirus è alto, soprattutto al Nord». Realtà sommerse che l’emergenza sanitaria ha prepotentemente riportato alla luce.

La regolarizzazione e il mondo agricolo

Nino Quaranta ha sessant’anni ed è un imprenditore agricolo di San Ferdinando. Quando gli chiediamo cosa pensa della sanatoria per gli immigrati irregolari di cui si discute, si mette a ridere. «Si sono accorti adesso che la manodopera dei migranti è fondamentale per tenere su l’agricoltura?», dice. Di italiani se ne trovano pochi, perché non sono in molti quelli disposti a sporcarsi le mani. «È un lavoro ritenuto pesante e squalificante».

Rosarno, Calabria, 2018
Rosarno, Calabria, 2018

Eppure regolarizzare vorrebbe dire far emergere il lavoro, strappandolo alle reti del caporalato e garantendo un’entrata alle casse dello Stato sotto forma di contributi pari a 1,2 miliardi €. Ma non solo. I pomodori di Foggia sono rimasti senza raccoglitori, mentre al Nord nessuno cura più i vigneti. «Di immigrati che vogliono lavorare ce ne sono, ma solo pochi di loro possono perché tanti sono irregolari senza permesso», ci racconta Quaranta. E nel frattempo rischiamo un’impennata nei prezzi di frutta e verdura.

La sanatoria come diritto umano

Ma la regolarizzazione degli immigrati non è solo questione di economia o di salute pubblica. Secondo Jean René Bilongo, «è una misura di equità». «Tutti noi abbiamo la responsabilità di restituire la dignità a queste persone. E lo possiamo fare dando agli immigrati un lavoro con tutti i crismi del caso». Secondo il sociologo Marco Omizzolo, però, la bozza del provvedimento che sta circolando non sarebbe abbastanza coraggiosa.

Rosarno, Calabria, 2018
Rosarno, Calabria, 2018

«Le proposte in campo non sono adeguate. Abbiamo bisogno di qualcosa che riconosca i diritti a persone sfruttate da vent’anni. Invece, con questo provvedimento, ti riconosco i diritti solo per il periodo utile a me. Dopodiché si ritornerà nell’irregolarità. La vita degli immigrati non cambierà molto». D’altronde, gli stranieri non devono essere più solo un tema funzionale agli slogan delle campagne elettorali: una sanatoria ampia è l’ingrediente nascosto di una società più giusta. E un atto di normalità.

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