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La prima università italiana del mondo è 'La Sapienza'. Ed è solo 113esima

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Nessuna università italiana è fra le 100 migliori università al mondo. La Sapienza, migliore ateneo italiano, è al 113esimo posto nella classifica globale. Il piazzamento emerge dall’ultima edizione della graduatoria stilata dal Center for World University Rankings (Cwur), un’organizzazione con sede negli Emirati Arabi Uniti che ha classificato in modo indipendente duemila università nel mondo. Il podio è tutto americano: al primo posto l’università di Harvard, poi il MIT di Boston e la Stanford University. Le inglesi Cambridge e Oxford sono quarta e quinta in classifica.

Le migliori università al mondo e l'Italia

I parametri considerati dal Cwur sono cinque: ranking nazionale, educazione, occupabilità, facoltà e ricerca. Le università italiane sono state penalizzate in particolare per educazione e occupabilità. La Sapienza, infatti, sarebbe tra le prime 100 al mondo per livello di ricerca, ma se si considerasse solo l’occupabilità – cioè la capacità di trovare lavoro dei propri laureati – si classificherebbe 499esima. Per l’offerta educativa l’ateneo romano è 419esimo al mondo. Dopo La Sapienza, le migliori università italiane sono quelle di Padova (170esima), di Milano (179) e di Bologna (181). Curioso il caso di Padova: se si considerasse solo l’occupabilità sarebbe più in basso di 1250 posti. La Bicocca, tredicesima in Italia, è 336esima nel mondo.

I numeri certificano uno stato dell’istruzione universitaria italiana già da anni in peggioramento. Un’altra ricerca, pubblicata alcuni mesi fa da Eurostat, sottolineava che i laureati italiani sono tra quelli che vengono pagati meno in Europa, con una retribuzione media di 28mila euro lordi annui. L’offerta formativa, la scarsa occupabilità e i salari non adeguati non fanno altro che aumentare il numero dei cosiddetti “cervelli in fuga”, un fenomeno segnalato dalla Corte dei Conti. Rispetto al 2013 in Italia i laureati che portano le proprie competenze altrove sono aumentati del 41,8%, un flusso negativo non compensato dall’ingresso di lavoratori qualificati dall’estero.

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