politically correct
Perché il politicamente corretto soffoca la cultura
con Melissa Aglietti
Era la fine degli anni ottanta e il multiculturalismo prendeva piede nelle università del Michigan, USA, dove gli studenti stavano elaborando un linguaggio che rompesse con le discriminazioni del passato. Influenzato dal concetto di safe space e da un certo neopuritanesimo, questo nuovo politically correct si trasformò rapidamente, attraverso le dinamiche di gruppo poi amplificate dai social media, in un conformismo linguistico che oggi tende a levigare, appiattire, le idee e le loro espressioni nel nome del rispetto dell'altrui sensibilità. Ma se ci fossimo sempre preoccupati di non offendere gli altri, dal pubblico perbenista degli anni Cinquanta o quello più progressista di oggi, non avremmo la cultura che conosciamo.
Le opere nell’occhio del ciclone
Nel 2020 è stata HBO Max che, in risposta alle proteste del Black Lives Matter e a un dibattito che da tempo circonda il grande classico del cinema Via col vento, lo ha rimosso dalla propria piattaforma per reintrodurlo con un commentary che spieghi il contesto agli spettatori. Decisione che, prima di essere politicamente corretta, è un’abile manovra di marketing che ha fatto conoscere il servizio on demand di HBO al mondo intero. Ma non è la prima volta che prodotti artistici del passato entrano in contrasto con le nuove sensibilità, incapaci, a quanto pare, di contestualizzare storicamente e culturalmente le opere: dalle accuse di sessismo a Mulan a quelle di linguaggio razzista al classico Il buio oltre la siepe di Harper Lee, il nostro passato è pieno di ombre che andrebbero scandagliate prima di essere rimosse. Il rischio è, infatti, di scatenare una caccia alle streghe culturale che ci farà perdere più di quanto guadagneremmo. E questo al netto del solito vociare dell’alt right americana e dell’estrema destra italiana, sempre pronte a distorcere notizie come quella di Biancaneve e del suo bacio non consensuale, in polemiche utili solo al clickbaiting e alla creazione di consenso.
Com’è nato il politicamente corretto
Socrate? Nelle università americane ci si riferisce al filosofo greco con il pronome “she”, perché in fondo poteva essere anche donna. Guai a usare il pronome “he”, è roba da sessisti incalliti. In Razzismo è una gaffe. Eccessi e virtù del politically correct, Flavio Baroncelli racconta di come in America possa essere molto pericoloso per un professore chiudere la porta durante un colloquio con una studentessa: il rischio è quello di essere accusato di molestie. Tentativi di aprire le porte del mondo con le chiavi del politicamente corretto. Chiavi che, più che includere, finiscono per escludere e diventare un’arma nelle mani degli anti liberal. Perché se le premesse sono valide, i risultati spesso sono da teatro dell’assurdo e testimoniano l’insensata paura a voler chiamare le cose con il loro nome, rinnegandole e procedendo come cavalli bendati nel nostro presente. Eccessi e (mezze) virtù del politically correct, appunto.
Il futuro politicamente corretto
Ci attende quindi un mondo fatto di crociate e ipermoralità in cui la damnatio memoriae sarà all’ordine del giorno per tutto ciò che non riteniamo corretto? Bandiremo le battute scorrette di Ricky Gervais o l’assurda esagerazione di The Wolf of Wall Street, accusati entrambi di omotransfobia, oppure toglieremo le riproduzioni della Maja desnuda da tutte le pareti perché considerate sessiste, come accaduto anni fa alla University of Pennsylvania? Se, da un lato, è più che legittimo criticare e abolire pratiche razziste come la blackface di Pietro il moro in Olanda, censurare o trasformare libri, film e statue ci priva della possibilità di capirne il contesto e quindi di criticarlo ed emanciparcene. La censura ci sprofonda nell’immobilità, in uno spazio sicuro, certo, ma congelato nel tempo. E non ci permette di fare i conti con il nostro passato, di sederci a tu per tu con la nostra coscienza storica. Perché, in fondo, ogni uomo è figlio del suo tempo. Chiedere a Cristoforo Colombo di essere anche politicamente corretto forse è un po’ troppo.
Ci sono solo due strade per emanciparsi dal passato
Come scrivemmo a giugno del 2020, durante le grandi manifestazioni che seguirono la morte di George Floyd, abbattere i simboli è un passaggio tipico delle grandi rivoluzioni politiche e culturali, ma rimuovere la memoria fisica di un evento o di un personaggio potrebbe impedirci di affrontarne l'eredità. La proposta che fece allora Banksy di ripescare la statua di Colston e riposizionarla affiancata dalle raffigurazioni di persone che la abbattono è un modo di contestualizzare la memoria storica del razzismo senza cadere nella semplice censura. Sulla stessa linea la reintroduzione di "Via col vento" su HBO Max con un commentary che spieghi la realtà storica sia del film che della sua produzione permette di aprire un dibattito sulla cultura del passato. Oppure l’iniziativa presa a Bolzano per gli Uffici finanziari dello stato, che presentano sulla facciata un vasto fregio fascista. Invece di rimuovere le immagini controverse, l’amministrazione vi ha proiettato, in notturna, le frasi di Hannah Arendt. L’emancipazione dal passato passa da entrambe queste strade: abbatterne i simboli o affrontarne la testimonianza, ignorarli non è possibile.
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