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Perché hanno censurato Mulan
Non c’è pace per Mulan, il live action Disney nei cinema in Italia il prossimo 26 marzo: dopo le polemiche per i cambiamenti nella storia e il taglio più “drammatico” dato al film (sarà il primo live action Disney vietato ai minori di 13 anni), i fan sono infuriati per la spiegazione data dalla produzione all’eliminazione di Li Shang, l’affascinante mentore e poi amante di Mulan, tolto dal film per non scontentare il movimento MeToo. Ma è davvero femminista “censurare” Mulan?
Un live action diverso dall'originale
Secondo le motivazioni fornite dalla regista Niki Caro, i cambiamenti apportati dal live action al classico Disney del 1998 sono motivati da ragioni culturali e sociali: non scontentare nuovamente il popolo cinese, che non aveva apprezzato il taglio dato dal cartone animato alla loro più celebre leggenda e, soprattutto, non inimicarsi il movimento MeToo. Nel primo caso, il rifacimento prevede l’assenza di elementi comici, delle intramontabili canzoni (che sopravvivono in versione strumentale) e un tono più cupo e adatto a una storia di sacrificio ed eroismo che prevede anche scene di violenza.
Nel secondo caso, il restyling in salsa politically correct scelta dalla regista investe tutti gli altri elementi e personaggi resi iconici dal classico: cominciando dal drago Mushu, il cui posto verrà preso da una fenice, figura giudicata più gender fluid e metaforicamente affine a Mulan. La scelta di eliminare la spalla comica da un film drammatico è coerente: inoltre, qualsiasi rifacimento non avrebbe retto il confronto con l’originale. Ma per Li Shang la questione è diversa.
Li Shang è patriarcale?
La storia d’amore tra una soldatessa e il suo comandante, che prima la rinnega e poi si innamora di lei è patriarcale? Secondo la produzione di Mulan sì. La scelta di inserire il personaggio della strega, alleata degli invasori della Cina, serve, insinuiamo, a innalzare la “quota rosa” del film: evidentemente Mulan non è abbastanza, come esempio, per le bambine del 2020. Non entriamo nel merito della motivazione legata a MeToo: osserviamo solo come “piegare” la libertà artistica a presunte rivendicazioni femministe per timore di qualche rappresaglia o perdita di endorsement sia, perlomeno, inquietante.
Mulan è un personaggio femminista così com’è: non ha bisogno di iniezioni di empowerment o del consenso di un movimento social. Affiancarle sentimentalmente un personaggio maschile, per quanto suo “superiore” di grado, non replica certo l’agghiacciante dinamica di potere resa tristemente celebre da Weinstein. C’è da chiedersi come si possa conciliare “l’epopea femminista”, come l’ha definita la regista, con la volontà di rendere il live action più gradito alla Cina: un paese in cui le donne non godono certo di pari diritti.
Mulan 2020: né femminista né LGBT
Il posto di Li Shang, troppo “graduato” per poter avere una storia d’amore con l’eroina cinese, sarà preso da Chen, suo commilitone, con cui nascerà una rivalità che sfocerà in amore. Ma solo quando il sesso di Mulan sarà rivelato: Chen non si innamorerà di lei fintantoché non sarà una donna ai suoi occhi.
Una nota stonata che certo placherà gli animi dei cinesi, ma che finirà forse per scontentare la comunità LGBT: Li Shang non era certo omosessuale, ma l’insistenza nel sottolineare la “rigidità” sessuale di Chen pare più una strizzata d’occhi alla censura cinese che un passo in avanti verso l’emancipazione femminile e il riconoscimento della realtà LGBT. Mulan 2020 si candida quindi a essere un film né totalmente femminista né tantomeno arcobaleno: vedremo se il pubblico punirà il “cerchiobottismo” della produzione con un flop al botteghino, aggiungendo Mulan alla lista dei live action Disney nati sotto una cattiva stella.
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