fake follower social
L'esercito dei fake follower della politica italiana
In questa campagna elettorale permanente, si torna a parlare di influenza dei social nel dibattito politico. I nuovi strumenti di comunicazione hanno destabilizzato, con la loro esplosione, le regole e le abitudini comunicative della politica: pensiamo al caso dei testa a testa televisivi, sempre meno frequenti, sostituiti invece da dichiarazioni solitarie fatte dai vari politici sulla loro bacheca social, probabilmente ideate e pubblicate da un social media manager. Un’altra questione che emerge, nel rapportarsi con questa produzione di informazione è quella degli account automatizzati, i cosiddetti bot, cioè account non riconducibili a persone fisiche che vengono programmati per generare contenuti automatici, condividere i post/tweet di un politico, o semplicemente aumentare la mole di followers.
Secondo una recente analisi condotta tramite il software SparkToro, più del 60% dei follower su Twitter di Salvini e Di Maio sono finti, anche se il primato spetta al leader di LeU ed ex-presidente del Senato Pietro Grasso, con il 76,3%. I casi però in cui gli account automatici risultano più evidenti sono le occasioni di tweetstorm. Nella notte tra il 24 e il 25 gennaio, dopo che il gip del tribunale dei ministri aveva chiesto l’autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro degli Interni Matteo Salvini sulla vicenda della nave Diciotti, su Twitter ha iniziato a diffondersi a macchia d’olio l’hashtag #SalviniNonMollare.
L’engagement di questa campagna è stato altissimo, generando 25 milioni di retweet e 90mila tweet unici, destando subito l’attenzione degli analisti di account automatizzati. Certo, stimare esclusivamente la presenza di eventuali follower finti potrebbe non rendere l’idea di quanto sia influente questo fenomeno, quindi viene naturale chiedersi quanto traffico questi utenti automatici possano creare. Nei giorni precedenti alle scorse elezioni del 4 marzo, oltre 26mila bot hanno generato un volume di circa 200mila tweet su 1 milione di messaggi condivisi. Quindi all’incirca un tweet su cinque contenenti hashtag come #elezioni o #elezioni2018, era prodotto da programmi.
Per le elezioni del 4 marzo un quinto dei tweet politici condivisi è stato generato da bot
Ma il caso più eclatante di rapporto tra numero di tweet e account fake usati per produrli viene dall’inchiesta Russiagate pubblicata l’estate scorsa su Fivethirtyeight.com. Lo scenario che emerge dall’analisi è che il network delle fabbriche russe di troll si sarebbe impegnato attivamente anche nella pubblicazione di tweet in lingua italiana a sostegno del Movimento 5 Stelle e della Lega (il che non significa, ad esser precisi, che questo comporti un loro coinvolgimento attivo). I messaggi in questione, quasi sempre contro il PD, ammonterebbero a circa 18mila tweet, ma sarebbero stati prodotti per il 75% dagli stessi 9 account automatici.
Le troll farm russe hanno prodotto 18mila tweet in italiano a sostegno di Lega e M5S
Ma come si stabilisce che un account twitter sia davvero un bot? I metodi sono vari: il più semplice è rilevare nel nome dell’account una lunga lista di numeri, come @Giuseppe_2948847, un altro indizio può essere il basso numero di follower, addirittura minore di 10, così come ovviamente una forte ripetizione nelle forme dei contenuti. Questi sono criteri abbastanza ovvi, mentre un altro metodo, utilizzato da alcuni ricercatori del CNR di Pisa per monitorare politici italiani e internazionali, è quello di considerare che spesso questi account fake vengono acquistati “in blocco” dagli stessi politici o dal loro gruppo addetto alla gestione dei social da aziende specializzate nella creazione di una grande mole di account fake per essere appunto rivendute a seconda delle esigenze.
Il risultato, allora, è che se un politico ha comprato parecchi account fake, questi porteranno tutti la stessa data di creazione, mostrando anomalie rispetto gli altri follower reali. Ma che dire di queste operazioni? Non dimentichiamoci che è molto recente per la storia di Internet l’idea che creare account fake o automatici sia sinonimo di truffa. Fino a prima dell’avvento di Facebook nessun servizio online ha mai richiesto la veridicità del nome utilizzato.
Il servizio di Report sui falsi followers di Giorgia Meloni continua a far discutere
La stessa pratica di creare engagement in modo fittizio può anche essere una pratica virtuosa, se ad esempio si tratta di portare un messaggio utile alla collettività. Il punto semmai, è ricordarsi che quando si fanno statistiche sull’opinione pubblica basandosi sui dati dei social, questi possono essere molto falsati rispetto la realtà. Lo spazio virtuale, insomma, è forse giusto che resti uno spazio virtuale. Sta semmai a noi riuscire ad abitare questo spazio ricordandoci quali sono le sue potenzialità, ma anche i suoi limiti.