film Once Upon a Time in Hollywood
Once Upon a Time in Hollywood racconta un cinema che non esiste più
Non ci sono mezze misure quando si parla di Quentin Tarantino: o lo si ama o lo si odia. D’altro canto, c’è poco da obiettare sul fatto che sia un vero e proprio fumettista del cinema, e non solo perché è stato in grado, durante tutta la sua carriera, di portare sullo schermo incredibili storie di eroi ed eroine del quotidiano, ma anche per averli fatti diventare vere e proprie icone.
Ed oggi è arrivato con il suo nono film Once upon a time...In Hollywood, a regalarci una vera e propria dichiarazione d’amore per il cinema, un’ode alla sua Hollywood, la città delle stelle, dove i sogni si sono plasmati attraverso lo schermo costruendo la storia della settima arte. Un film di specchi e riferimenti, di riflessi e citazioni, di un Tarantino che cita Tarantino: un vero e proprio amore dell’arte per l’arte, un metafilm, un regalo a ciò che è stato e, forse, una previsione di quel che sarà il cinema: un eterno ritorno.
Once Upon a Time in Hollywood è un dono e un omaggio a ciò che il cinema è stato e non sarà più
Tarantino in Once upon a time...In Hollywood mette in scena quasi un 8 e ½ felliniano, un film che racchiude, con humour e attaccamento ai suoi feticci più comuni, tutto ciò che lui stesso ama di più, costruendo una trama-non trama che suggerisce più che raccontare, cos’era l’America di fine anni ’60, la California, Los Angeles, Hollywood, la decadenza di un attore famoso in quegli anni e dell’amicizia sincera con il suo stuntman, interpretati dall'esilarante coppia Di Caprio-Pitt, vero nucleo del film.
Il tutto, condito da un’atmosfera oscura che aleggia nel sottofondo della narrazione filmica, una realtà a tratti disturbante, com’era quella della setta di Charles Manson e della tragedia avvenuta in casa Polanski nell’estate del 1969.
Un trama-nontrama che suggerisce, senza raccontarla, l'America degli anni '60
L’immagine di Manson, diventata ormai iconica di quegli anni, non è rappresentata tanto a livello di personaggio vero e proprio all’interno della pellicola, quanto più come una “presenza in off”, che costruisce un’atmosfera di attesa, come quella di chi sa che qualcosa potrebbe accadere da un momento all’altro e se ne lascia condizionare. Un po’ come l’atmosfera di quegli anni ad Hollywood, dove l’autenticità del cinema inizia a dare spazio allo sfruttamento incessante di attori e attrici dell’epoca, rendendo la settima arte sempre meno arte e sempre più macchina commerciale.
L’immagine di Manson, e soprattutto la sua “famiglia”, nel film rappresenta quest’ondata oscura, questa indefinita presenza, della quale non viene spiegato nulla di preciso, ma che resta in sordina, proprio a segnare forse, il decadimento in cui Hollywood sta pian piano sprofondando.
Charles Manson e la sua Family sono un'ombra che si staglia alle spalle di Hollywood
Tarantino ha reso la vicenda di Manson un puro escamotage per reinterpretare la storia della Hollywood di quegli anni, una città in trasformazione, un luogo ormai in decadenza dove l’arte dei veri attori e del cinema classico lascia spazio ad un nuovo modo di reinterpretare il cinema stesso.
Ed è in questo passaggio di forma e contenuto che compare un personaggio quasi etereo, silenzioso, imperscrutabile e a tratti divino, ma assolutamente essenziale nel significato del film: la meravigliosa Margot Robbie nei panni di Sharon Tate. L’interpretazione tarantiniana dell’attrice è un omaggio rispettoso: non viene inquinato da battute scomode o da circostanze paradossali, ma rivive attraverso la sua immagine spensierata, sorridente, serena, felice.
Sharon Tate è un personaggio chiave a cavallo tra mondo dell'arte e del business
Sharon Tate nel film (così come fu nella realtà) è un’attrice che si sta affermando sempre più a livello mondiale, e si rivela in una delle scene chiavi della pellicola, che la vedono recarsi al cinema da sola per andare a vedere il film che la vede protagonista, mescolandosi con il pubblico, dal quale si sente elogiata ed applaudita. Sharon Tate sorride e si diverte, poggiando i piedi sulla poltrona davanti alla sua e accomodandosi con allegria davanti alla sua fama.
Sharon Tate è un personaggio chiave perché è a cavallo tra due mondi: quello dell’arte e quello del business, e si muove in questo non-luogo con assoluta spontaneità. Molti hanno criticato l'immagine dell’attrice, che è apparsa poco rilevante all’interno del film, ma Tarantino semplicemente non ne ha voluto sporcare il ricordo, lasciandola lì, eterea nella sua bellezza ed energia, ridandole una nuova vita, e mostrandola come l’ultima grande interprete di un cinema ormai scomparso.
Più che Sharon Tate, nel film ne appare il ricordo, etereo, quasi intangibile
Ed è in onore di quel cinema, di quella Hollywood che perse la verginità in quel fatidico 1969, anno del cambiamento, che Tarantino crea la sua pellicola più intima e personale, perché forse, per la prima volta, ci mostra il cuore e non le budella.