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La Notre-Dame dell'ipocrisia occidentale

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Se qualcuno non se ne fosse accorto, nel tardo pomeriggio del 15 aprile scorso è scoppiato un incendio nella cattedrale Nôtre-Dame a Parigi. Le fiamme hanno distrutto completamente il tetto (tegole in piombo risalenti al 1326 e intelaiatura ricostruita nel XIX sec.) e la flèche (guglia ricostruita nel 1860). È poi crollata parte della volta soprastante la navata centrale e il transetto di cui sono compromesse anche le testate. Il fatto ha colpito il mondo intero e subito si è iniziato a muoversi per riparare i danni. Ma a chi compete la ricostruzione, che avrebbe un costo stimato di un miliardo di euro? Dopo la legge del 9 dicembre 1905 che sancì la separazione tra Stato e Chiesa, il proprietario di Nôtre-Dame è lo Stato francese che si incarica dei lavori di mantenimento, restauro, ricostruzione e anche assicurazione. Ma la cattedrale era assicurata? No, per questo le spese ricadono interamente sul proprietario: lo Stato francese. Il rapporto costo benefici per un’autoassicurazione viene giudicato sfavorevole dal 1889 e questa dottrina non è stata rimessa in questione, anche se alcuni edifici (per esempio la Torre Eiffel) sono coperti parzialmente. In ogni caso le cinque compagnie che stavano lavorando al rinnovo della chiesa erano coperte da assicurazione. Vediamo come si articolerà la ricostruzione, ma aspettiamo gli sviluppi a cuor leggero visto il fiume di denaro che sta arrivando in aiuto.

La generosità dei grandi marchi è in realtà cause-related marketing

Qual è stata la reazione, o meglio la over-reaction, del mondo all’evento? Un’esplosione di pathos: sui media e sui social si è scatenata la fiera tragica del lutto globale e tutti hanno espresso pubblicamente una ferita così profonda da toccarne l’identità. Le donazioni? A dir poco sorprendenti: già dalla notte stessa i miliardari francesi (ma non solo: anche Apple e Disney) hanno iniziato una gara di generosità per la ricostruzione. In soli quattro giorni è stato raccolto più di un miliardo di euro: i capofila sono stati François-Henri Pinault (Kering) e Bernard Arnault (beni di lusso LVMH) con 300 milioni di euro. Si sono poi aggiunti i Bettencourt-Meyers (L’Oréal) con 200 milioni, la multinazionale Total con 100, i costruttori Bouygues e Marc Ladreit de la Charrière hanno dato altri 10 milioni ciascuno, stessa cifra stanziata dalla città di Parigi: in pochissimo tempo si è raggiunta la cifra stimata necessaria, ma la generosità è difficile da arginare. Il primo ministro francese ha annunciato un disegno di legge che incoraggerebbe, tramite sgravi fiscali, le donazioni di imprese e privati, la Fondazione del Patrimonio ha aperto una sottoscrizione, alcuni librai parigini hanno proposto di devolvere parte delle vendite dell’omonimo romanzo di Victor Hugo alla ricostruzione e si contano molte altre iniziative.

L'incendio di Notre-Dame è un colpo al cuore della cultura

Non considerando le raccolte dal basso, questa pronta e generosa risposta dei facoltosi, letta da alcuni come prova di sensibilità, è stata oggetto di dure polemiche. Questa corsa alla donazione è stata chiamata «business travestito da carità» (uno striscione apparso al 23° sabato di protesta dei gilet gialli), Manon Aubry della “France Insoumise” ha parlato di «un’operazione di marketing sulle spalle dei francesi» e nel marketing questo tipo di operazione ha un nome: “cause-related marketing”, promozione della propria immagine tramite la beneficenza.

Francois-Henri Pinault, presidente di Kering, ha donato 100 milioni di euro per Notre-Dame
Francois-Henri Pinault, presidente di Kering, ha donato 100 milioni di euro per Notre-Dame

La reazione all’incendio di Nôtre-Dame ha mostrato la nostra ipocrisia e il nostro eurocentrismo

Questo fiume di donazioni è una dimostrazione patente di come, se solo volessimo, avremmo tutti i mezzi per risolvere molti problemi del nostro mondo in poco, pochissimo tempo. Assistendo a questo sfoggio di abbondanza viene da pensare: a sborsare cifre astronomiche per un edificio (forse non a caso il più visitato in Europa, nella città più visitata al mondo) non ci si pensa due volte, mentre per le urgenze sociali i fondi mancano sempre. Va ricordato che in Francia ci sono attualmente 140.000 senzatetto (tra i quali 30.000 bambini). Un report di Soccorso Cattolico del 2018 ci informa che circa 8,8 milioni di persone vivono sotto la soglia della povertà in quello che è il sesto paese più ricco del mondo secondo il Fondo Monetario Internazionale. Le donazioni che arrivano da ogni dove appaiono come una dimostrazione non solo dell’ipocrisia generale, ma anche dell’eurocentrismo che l’occidente predica (e paternalisticamente impone) con parole e fatti. Basta fare un semplice confronto con il grave danneggiamento della Grande Moschea di Aleppo nel 2013. Le reazioni, così come le donazioni, sono incomparabili. Eppure la moschea degli Omayyadi di Aleppo risale all’inizio del VIII sec. ed è quindi più antica della cattedrale di Parigi; se davvero ai benefattori del mondo stesse a cuore solo il patrimonio culturale dell’umanità, inizierebbero da Aleppo, o almeno dall’umanità.

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