VD Logo
VD Search   VD Menu

russia

Non possiamo dimenticare che la Russia è europea: intervista alla scrittrice Serena Vitale

Condividi su Facebook Condividi su Twitter Condividi su WhatsApp

L’unica opera scultorea di Brindisi è il Monumento al Marinaio d’Italia: un grande timone di cemento armato e pietra alto 68 metri dal livello del mare. Io, in 32 anni, ammetto di non esserci mai salito – mentre Serena Vitale, che è di Brindisi come me, ci andava già quand’era piccola, insieme al padre, che dalla cima le indicava all’orizzonte la Jugoslavia: «papà, cos’è la Jugoslavia?» chiedeva lei; e lui rispondeva: «il Paese del sud degli slavi». «Papà, chi sono gli slavi?»; «non lo so, lo studierai da grande».

E in effetti l’ha studiato: slavista, traduttrice di migliaia di pagine dal russo e dal ceco, professoressa di Lingua e Letteratura Russa, scrittrice: il suo primo folgorante romanzo fu Il bottone di Puškin, pubblicato da Adelphi nel 1995, tradotto in nove lingue e vincitore dei premi Comisso, Basilicata e Viareggio Rèpaci; l’ultimo, sempre Adelphi, è Il defunto odiava i pettegolezzi del 2015; l’ultima traduzione invece, «con molta felicità e molta sofferenza», come ha dichiarato lei stessa, è stata La mite di Dostoevskij del 2018.

VD: E, a proposito di Dostoevskij, cosa pensa dell’affaire Paolo Nori e della proposta (poi revocata) di posticipare il corso all’università Bicocca di Milano (poi cancellato)?

Serena Vitale: La richiesta di non parlare di un grande dell’Ottocento è una delle cose più sciocche che io abbia mai sentito. Dostoevskij fa parte della nostra cultura, della cultura mondiale, non parlandone ci priveremmo della metà della nostra sensibilità culturale, di ciò che ci ha formato. E perché?, che colpa ha Dostoevskij? Cosa c’entra l’Arte con la guerra?

VD: Pare che c’entri: anche l’European Film Academy ha bandito i film russi dai premi cinematografici di quest’anno…

SV: Mi fanno molta impressione queste cose: la cantante Anna Netrebko non si esibirà alla Metropolitan Opera di New York perché non ha ripudiato pubblicamente Putin: questo significa non conoscere la vita russa. Come farebbe poi quella donna, se ripudiasse Putin, a tornare nel suo Paese? L’arte, la letteratura, dovrebbero restare fuori da tutto questo: anche perché, secondo me, per Putin è come se una farfalla gli si posasse in fronte. Cosa volete che gli interessi? C’è un cantante in meno all’Eurovision?, capirà…

VD: Quindi non ha senso estromettere la nazione da concorsi come quello musicale?

SV: Qualche segno bisogna pur darlo, le sanzioni ci vogliono: non si fa una partita di calcio? Eh vabbè, vivremo senza. Ma se parliamo di libri, di cultura: allora no. Io sono una che guarda anche il Festival di Sanremo, ma mi permetto di dire che se un cantante russo non va all’Eurovision non succede niente. Se però toccano la cattedrale di Santa Sofia, un monumento peraltro protetto dall’UNESCO, mi mobilito io stessa per difenderla. Quella cosa che hanno fatto, bombardare Babyn Yar… hanno distrutto il Memoriale per l’Olocausto. Hanno chiuso anche l’informazione, Dožd’ e l’Echo di Mosca; questo non vale un cantante? Era l’unica informazione che io avessi da qui.

VD: Chiudono anche i quotidiani di opposizione, che non sono dei veri quotidiani perché non hanno i fondi per uscire tutti i giorni… Ma allora è vero che i soldati russi, interrogati in Ucraina, credevano di dover difendere i confini con le provviste per tre soli giorni?

SV: Giuro sul mio gatto: è vero. Succedeva lo stesso con la guerra in Cecenia. Quei ragazzi sono carne da macello per Putin, non sanno neanche per che cosa vanno a combattere: le sue armi sono ben altre, armi di pressione per esempio. Molte madri russe stanno tentando di manifestare, ma lo sapete: se si mettono insieme più di cinque o sei persone, arrivano a pestarle o a metterle in carcere. E si è arrivati a mettere in carcere i bambini, quattro o cinque bambini russi con i cartelloni dei colori dell’Ucraina… Eppure, c’è stato un periodo in cui si potevano organizzare le proteste – io stessa ho visto la prima manifestazione che non è stata disciolta, a Pietroburgo, nel 1971. In quell’occasione mi sono detta: comincia un’epoca nuova… È durata poco.

VD: C’è stato dunque un prima-di-Putin, e ci sarà un dopo-Putin?

SV: Sicuramente. Sperando che presto se ne vada in Crimea a fare i bagni di mare… I russi – che sono abituati ad abbassare la testa, soprattutto con la paura dell’arresto e con la paura di essere mandati in guerra – sono sicura che balleranno di gioia. Certo, se dopo di lui ne arriva uno peggiore… Ma chi? Il problema serio è che ottant’anni di Comunismo sovietico e di dittatura non hanno permesso che nascesse una nuova classe di politici, né scuole di Politica: gli unici che hanno una scuola ad usum Delphini sono del KGB. E però, se dovesse venire un altro del KGB, io mi figuro la gente che si ribellerà. Perché i russi davvero sono contrari alla guerra, come aveva scritto Evtušenko in quella canzonaccia terribile che faceva I russi vogliono la guerra? No!

VD: Peraltro questa lotta armata gli si sta ritorcendo contro, perché non fa che ricompattare un’Unione Europea che si stava sgretolando…

SV: L’Europa sta dando prova di grande unità, perché la violazione del diritto – del minimo diritto, dei principi basilari del diritto – è stata troppo forte: un atto inconcepibile per il nostro tempo, e ha rivelato che cos’è la Russia. Certo, non è che siamo improvvisamente diventati buoni, dolci e caritatevoli: ma un Paese non può dire «voglio questo pezzo». Ci sono cadaveri di giovani soldati che nessuno va a recuperare; di solito nelle guerre c’è la Croce Rossa: qui invece i russi vengono tumulati, sepolti dalla gente ucraina. Non c’è odio tra i popoli – e soprattutto gli ucraini non vogliono scendere a quel livello di turpitudine. E poi, stanno rivelando una saggezza e una tattica militare molto più avanzata di quella di Putin, che sembra rimasta ancora al Cinquanta – nonostante abbia mezzi enormi ed enormemente più grandi. Però, anche con una tattica straordinaria e con l’eroismo – perché di eroismo si tratta – non si può pensare di vincere un colosso.

VD: Anche i video diventati virali – per esempio quelli dei soldati russi – sono una sorta di tattica propagandistica dell’Ucraina per contrastare quella nemica?

SV: Certo, ma vogliamo parlare della propaganda russa? Da due giorni, su Sky, non vedo più nemmeno Pervy, il telegiornale. E non riesco a capire perché: per ripicca? Insieme ai giornalisti, i telefonini restano l’unico strumento d’informazione – e lo dico io che odio i cellulari. Dall’altro lato, però, gli ucraini stanno trasformando Zelens’kyj in un eroe: io sono sicura che sia un uomo coraggioso fino alla morte, ma un popolo che crea eroi è preoccupante.

VD: Lei però ha spesso detto che la Russia le ha insegnato a non avere paura…

SV: La Russia mi ha insegnato a non avere paura nella vita quotidiana: a Mosca, per uno straniero – ma anche per un moscovita – la vita era un inferno tra delatori e mancanza di cibo; uscire dal palazzo universitario ogni giorno era un’avventura o una disavventura. Quando mi hanno pestata ho detto «ok, pestatemi»; poi sono rimasta chiusa in una stanza per paura che mi arrestassero, ho dovuto aspettare un aereo speciale che venisse a prendermi. Ho imparato a non avere paura nella vita quotidiana – ma non a non avere paura della guerra, del potere. Quello che succedeva allora, però, era rose e fiori in confronto a quello che succede adesso. Mi illudevo che fosse uno strascico del vecchio regime – non avevo paura per la mia pelle, ma adesso si tratta della pelle di milioni di persone.

VD: Oltre che di Dostoevskij, anche parlando di Puškin e Majakovskij – a cui ha dedicato due dei suoi libri – lei ha spesso detto che sono parte della nostra cultura europea perché la Russia «era parte» e «fa parte» dell’Europa.

SV: Lo insegnavano a scuola, se ricordate le cartine: c’erano i Monti Urali che dividevano l’Europa dall’Asia, e la Russia che noi conosciamo – dagli Urali alla povera, distrutta Kyiv – è Europa. Io non mi immagino la crescita intellettuale dei giovani senza che possano leggere Tolstoj o Puškin o Dostoevskij. La Russia è parte integrale della nostra cultura, e se la rifiutiamo ci diamo la zappa sui piedi. Quando facevo ricerche per scrivere di Puškin, ho dovuto visitare gli archivi di Francia, Germania – eppure Puškin non si era mai mosso: però la cultura, i giornali arrivavano, i giornali francesi arrivavano a San Pietroburgo il giorno stesso in cui erano usciti, con dei treni che non so chi costruisse: non abbiamo mai sentito questa distanza. Se mi parlate dell’Isola di Sachalin, certo che è lontana, è sull’oceano: ma non credo che sull’isola di Sachalin, a parte la meraviglia che ha scritto Čechov, si sia sviluppato qualcosa.

Due delle sette opere di narrativa di Serena Vitale; con Mondadori ha pubblicato anche La casa di ghiaccio. Venti piccole storie russe (2000), L’imbroglio del turbante (2006) e A Mosca, a Mosca! (2010)
Due delle sette opere di narrativa di Serena Vitale; con Mondadori ha pubblicato anche La casa di ghiaccio. Venti piccole storie russe (2000), L’imbroglio del turbante (2006) e A Mosca, a Mosca! (2010)
VD: Ha detto anche che non dobbiamo cedere alla teoria per cui, essendo asiatica, la Russia abbia bisogno del cosiddetto “uomo forte” al comando.

SV: Adesso tutti usano «zar» per parlare di Putin, che è un’espressione sbagliata: non tutti gli zar sono stati autocrati o crudeli. Ce ne sono stati di illuminati, ce ne sono stati di più terribili come Nicola II. Putin però non è una persona normale: io sono convinta che abbia forti problemi psichiatrici. Vive in un bunker, manda fuori i suoi sosia, poi i suoi scagnozzi gli portano le notizie edulcorate, più rosee di quelle che sono in realtà. Non credo che abbia mai letto un giornale, figurarsi dei libri! Lui vive in un altro universo, credetemi. Quando stavo in Russia (la prima volta nel ‘67, mentre si celebrava il 50esimo anniversario della Rivoluzione, ndr), tutto il KGB viveva in un altro universo: dove l’unico interesse non è procurarsi il consenso, ma l’ubbidienza. E il consenso non ha mai interessato neanche Putin, tanto le elezioni se le fa da solo: ha detto che sarà presidente fino al 2036. È un robot, niente lo tocca, è concentrato solo sul potere. I suoi desiderata sono chiari: vuole Odessa, perché è uno sbocco sul mare utile evidentemente alle armi ma anche al commercio. La povera Odessa di Puškin e di tanti altri scrittori…

VD: E adesso cosa succederà?

SV: Abramovič che vende il Chelsea, non credo che si sia improvvisamente arrabbiato con il presidente: però qualcosa forse comincia a muoversi… Non ci sarà certo una notte dei lunghi coltelli, anche perché Putin è barricato con sistemi sofisticatissimi – che non sono gli stessi dei poveri ragazzi mandati a morire, per i quali io ho la stessa pena che provo per gli ucraini che sono morti. Non lo so, già quarant’anni fa dicevo che fare previsioni sulla Russia è difficilissimo.

Alla finale di icestock il COI ha fatto rimuovere la bandiera della Russia

Segui VD su Instagram.

Topicsrussia  cultura  guerra 
ARTICOLI E VIDEO